Un museo di gioielli per scrivere: c’è pure la macchina di Montanelli

L’uomo ha sempre sentito l’esigenza di esprimere le sue idee anche per iscritto, d’inventare cioè un codice che possa essere un linguaggio universale e fisso: fin dall’epoca della scrittura rupestre, per passare poi ai geroglifici e alla cultura sumera, fino ai fenici, che crearono una scrittura non più concettuale, ma sillabica. Ecco comparire 22 lettere, tutte consonanti, che però, unite, formavano le parole e creavano così un linguaggio. Nel 1450, Guttemberg inventa la prima stampa a caratteri mobili, impiegò sei mesi per stampare la Bibbia: creare un mezzo che permettesse di scrivere in modo automatico e non manuale non era certo cosa facile. «Ma era un desiderio troppo forte - spiega appassionatamente il signor Umberto Di Donato, creatore dell'unico museo interamente dedicato alla macchina da scrivere, a Milano in via Menabrea, 10 (info: www.umbertodidonato.org, 347-88845560, aperto martedì, venerdì e sabato dalle 15 alle 19) -. Negli anni Settanta negli Stati Uniti la macchina da scrivere cominciò ad essere uno strumento tecnicamente sviluppato. Io ho un personale senso di riconoscimento per quest’oggetto, ho trovato subito lavoro dopo la scuola perché mio padre, che era in un distretto militare, quando ero bambino mi insegnava a battere a macchina dopo la scuola».
Di Donato ha reso omaggio alla macchina da scrivere creando un vero e proprio museo, al cui interno si trovano parecchie decine di esemplari che ne ricalcano fedelmente tutta la storia: dalle prime, del 1800, come quella di Matilde Serau, moglie di Leonardo Scarfoglio, con cui fondò «il Mattino» di Napoli, fino a Lilly, la figlia di Sholes, l’americano che si dedicò assiduamente a perfezionare le scoperte finora realizzate sulla macchina da scrivere tra il 1878 e il 1892: un manichino ritrae Lilly all’opera su una macchina del tempo, «lei è un simbolo - commenta Di Donato - perché rappresenta la prima donna che usò la macchina da scrivere per lavorare. Segnerà l’inizio di un’epoca». Presenti in più versioni le mitiche Olivetti, che rappresentano una tappa importante dell’industrializzazione italiana: Camillo Olivetti, infatti, diede una vera impronta capitalista all’attività, arrivando ad essere un marchio leader in Italia, Europa fino in Argentina (siamo negli anni ’20-’30 del 1900). Non potrebbe mancare, esposta, la famosa Lettera 22, di Montanelli, disegnata nel 1950 da Marcello Zizzola: appena uscì, gli Stati Uniti ne vollero una copia nel Moma, e la Olivetti aprì una sede a Ny in 5th Avenue. Sono solo degli anni Settanta le prime macchine in plastica, sempre della Olivetti: il modello si chiama «Valentine», disegnato nientemeno che da Ettore Sottsass, che le aveva ipotizzate in bianco, rosso, verde e blu. Anche queste sono presenti al Moma. Il museo di Umberto Di Donato contiene anche delle macchine appartenute a milanesi importanti, come quella di Luigi Cagnolaro, direttore del Museo delle Scienze Naturali di Milano, o quella di Gustavo Gambarota, magistrato napoletano, oltre alle macchine arabe o cinesi (quest’ultima ha in tutto 3200 caratteri, più un’altra scatola che ne contiene ulteriori 1000 da sostituire. In Cina, inoltre, si scrive sempre sulla cera, e mai sulla carta, in modo da poter ricavare più copie da un foglio). Un approfondimento molto interessante che si trova nel Museo è su Braile e la scrittura per i ciechi: Louisse Braile era un ragazzino francese di 14-15 anni, cieco, che studiava nell’apposita scuola nel 1800. In queste strutture veniva insegnato ai ragazzi soprattutto un mestiere. Lui, però, voleva scrivere, e leggere. Un giorno andò nella scuola un generale, che diede a Braile l'idea per la sua invenzione: disse ai ragazzi che i soldati, in guerra, per comunicare al buio, si scrivevano i messaggi su caratteri in rilievo.
Un museo conosciuto in tutto il mondo dagli appassionati di macchina da scrivere, e che riceve, infatti, spesso delle donazioni da privati: un museo che permette di mantenere vivo il ricordo di una realtà ormai sempre meno attuale anche grazie ai numerosi appuntamenti che organizza di approfondimento, tutti gratuiti. Sta per iniziare, infatti, un concorso di Dattilografia su vecchie macchine da scrivere, in ricordo di Indro Montanelli, per cui presiederà con molta probabilità anche il giornalista Mario Cervi.

C’è un pezzo di storia mondiale in quelle stanze, che si ricava dalle differenze piccole e grandi che in ogni macchina da scrivere si riscontrano. Di qualsiasi modello si tratti, la macchina da scrivere ha comunque come componente fondamentale il silicio. Che è lo stesso materiale da cui oggi si ricavano i computer o i pannelli solari. La storia si ripete.

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