
Claudio Baglioni, non è che per caso ha cambiato idea e non si ritira più?
«Poco dopo aver annunciato il ritiro, ho pensato: Mi sa che ho fatto una caz...a».
Quindi ci ha ripensato?
«No, non farò una cosa del tipo lascia o raddoppia. Confermo ciò che dissi. E penso di aver fatto bene: in questo modo sono riuscito a incorniciare tanti progetti che altrimenti sarebbero stati meno identitari. Mille giorni è una cifra simbolica, magari si sfora, ma mi piace aver dato un senso a tutto ciò».
Adesso pubblica una nuova versione di La vita è adesso, poi farà altri quaranta concerti. Non è che l'ultimo stadio del suo ritiro sarà proprio cantare in uno stadio?
«Se non sarà l'ultimo, sarà il penultimo».
Oggi siamo abituati ai dischi mordi e fuggi, alle canzoni usa e getta e alla musica che scade come lo yogurt. Forse per questo Claudio Baglioni ha deciso di riarrangiare e ricantare La vita è adesso, che è uscito 40 anni fa ed è «di gran lunga», come sottolinea, il disco più venduto di sempre in Italia. Più di tutti. Qualche numero: ha venduto oltre 4,5 milioni di copie, è rimasto in testa alla classifica più di 6 mesi (27 settimane) e il concerto finale del tour è stato trasmesso in tv con una share da festival di Sanremo, 12 milioni di spettatori. Sono cifre cui nessuno è più abituato. «Non amo troppo le commemorazioni in vita» scherza lui che comunque al nuovo disco aggiunge un brano in versione inedita (Il sogno è sempre) e affianca un libro numerato a mano in mille copie con le illustrazioni di Emiliano Ponzi. «Le ho firmate una per una», sorride. D'altronde Baglioni è così: non ha mezze misure e quella che sceglie è sempre senza misure.
L'avrebbe mai pensato che questo disco potesse rivivere quarant'anni dopo?
«Avrebbe dovuto intitolarsi Un bar sulla città perché passavo tanto tempo al bar Zodiaco accanto all'Osservatorio di Monte Mario con il proprietario Eufemio Del Buono, che era pure un appassionato ufologo. Ma poi sa all'inizio cosa pensavo dell'album?».
Dica.
«Pensavo fosse un album orrendo. E invece si è rivelato il più popolare di tutti e non so perché».
Forse i testi.
«Di certo negli anni Ottanta si poteva finalmente raccontare delle storie mentre negli anni Settanta la politica e il sociale erano al centro».
Oggi è diverso. Si racconta di meno e del cosiddetto «impegno» importa a pochi.
«Senza dubbio, se c'è crisi, è perché la vita intorno forse è meno stimolante da raccontare. Sicuramente in questa fase non mi sembra ci sia la capacità di descrivere in campo largo. Forse c'è meno arte e più furbizia nelle cose che si fanno».
Nel 1985 ricevette pure un altro riconoscimento.
«Essì, in un Fantastico di Pippo Baudo, nella serata finale del 6 gennaio, Questo piccolo grande amore fu votata come la migliore canzone del secolo. Ero davanti alla tv e, quando mi accorsi di aver vinto, non ho fatto una piega proprio come i migliori allenatori di calcio. Poi presi i miei due pastori tedeschi, uscii di casa e mi guardavo intorno dicendo: Sono l'autore della canzone del secolo. Iniziò anche a nevicare, una cosa che a Roma capita ogni venti o trent'anni. Qualche mese dopo uscì La vita è adesso».
Che oggi, 6 giugno, arriva in versione rinnovata.
«Non è un monumento alla nostalgia. Lo abbiamo registrato come si faceva una volta, tutti insieme, musicisti e cantante, senza uso di altre attrezzature, niente autotune».
Dopo l'estate inizia un altro tour.
«Il Grand Tour. La prima volta dopo quindici anni che suono in spazi aperti».
L'anteprima il 27 settembre a Lampedusa, la «sua» Lampedusa.
«L'isola dove vado spesso e dove ho anche visto per la prima volta Papa Francesco, che era al suo primo viaggio».
E dove ha organizzato per tanti anni la manifestazione O' Scià, forse il più grande festival del Mediterraneo, il primo a «integrare» le forme musicali.
«Tutti quelli che si avvicinano a una causa, lo fanno per farsi perdonare il successo. Tanti firmano petizioni e costruiscono eventi di cui sanno poco: più che soldati sono trombettieri che suonano la carica. Per Ò Scià non è stato così: 10 anni di festival con oltre 300 artisti. Lo porto ancora nel cuore. Forse è il mio ultimo giro vero di concerti, e sono entusiasta che parta da lì».
Ma non le pesa avere una sorta di data di scadenza artistica?
«All'inizio
l'ho vissuta come una specie di corsa contro il tempo. Qualcuno mi aveva anche messo un timer che indicava quanto tempo mancasse. Molto ansiogeno. Ma oggi la vivo molto meglio e pazienza se non rispetterò i tempi al minuto».