La musica si arrende al web: arriva la bit-parade

Antonio Lodetti

È scoppiato l’amore tra l’industria e i siti internet che vendono canzoni on line. Finito il pianto greco contro chi scarica o mette a disposizione musica più o meno legalmente. Ormai in Italia i brani scaricati on line a pagamento l’anno scorso sono stati 14 milioni, il quattro per cento dell’intero mercato discografico. Così da domani parte la rivoluzione: nasce la prima hit parade ufficiale delle canzoni vendute on line in Italia, curata dall’istituto di ricerche sui consumi Nielsen (che cura già l’hit parade canonica) e voluta dalla Federazione dell’industria musicale italiana (Fimi). «È una mossa inevitabile - dice Renzo Arbore che di classifiche se ne intende - per capire i gusti del pubblico. Internet oggi ha il ruolo che avevano le nostre trasmissioni come Per voi giovani e Bandiera gialla. In pratica sostituisce il disc jockey; ai nostri tempi noi dj stuzzicavamo l’ascoltatore con proposte nuove. Ricordo che una settimana mettemmo in crisi Lelio Luttazzi, conduttore di Hit parade, perché con il nostro programma lanciammo in classifica Wilson Pickett, James Brown e altri artisti soul che pochi conoscevano. Oggi il dj non propone, è l’annunciatore di una lista di brani da promuovere preparati da un direttore artistico-commerciale».
O tempora o mores, c’è un po’ di nostalgia nelle parole di Arbore. «Sì, perché ai nostri tempi c’era più creatività. Costringevamo i discografici a pubblicare i 45 giri. A chi di Fausto Leali uscì su long playing e passò inosservata. A furia di trasmetterla la trasformammo in una hit da un milione di copie. Conservo ancora il telegramma di ringraziamento di Fausto. Il nostro scherzo preferito era quello di sostituire in diretta il brano di punta con uno meno noto ma che a noi sembrava più bello. Ricordo un’epica litigata con Mogol e Battisti perché mandammo in onda Acqua azzurra acqua chiara invece di 10 ragazze. Queste cose oggi si vedono poco ma accadono ancora; ad esempio è così che Radio DeeJay ha lanciato Michael Bublé».
Ma le classifiche di Internet devono essere serie e precise, ammonisce Arbore. La vecchia cara hit parade, nonostante tutto, ha sempre infiammato grandi polemiche. In America nacque nel 1936 grazie alle classifiche della mitica rivista Billboard (il primo re fu il violinista jazz italoamericano Joe Venuti), in Italia nel 1959 quella dei 45 giri grazie al settimanale Il musichiere, ispirato al fortunato programma tv di Mario Riva, e nel 1971 quella degli Lp. Da allora tutto è cambiato. Come sottolinea Dario Salvatori nel bellissimo libro 40 anni di Hit parade in Italia, «una buona metà degli operatori musicali è impegnata a tempo pieno per mandare i propri dischi nell’elenco dei più venduti. Dal punto di vista artistico i limiti della hit parade sono evidenti. È chiaro che i dischi che si trovano nelle prime posizioni non son sempre i migliori. Ma è indubbia l’influenza che simili graduatorie trasmettono all’acquirente». Un tempo le rilevazioni ufficiali venivano effettuate dalla Doxa, poi le fonti si moltiplicarono e ora ne rimangono soltanto due: la Rai e Tv Sorrisi & canzoni. Molti artisti - tra i più scatenati Celentano - hanno attaccato le hit parade mettendone in dubbio la credibilità, soprattutto ai tempi in cui i conteggi venivano fatti negozio per negozio. Allora capitava che i discografici comprassero di tasca loro grandi quantità di dischi per muovere la classifica.

Nulla di paragonabile comunque a quanto accadde ad Alan Freed, il re dei dj americani che inventò la parola rock and roll, finito in galera alla fine degli anni Cinquanta, nel celebre «scandalo payola», per aver preso soldi dalle grandi etichette in cambio di massicci passaggi radiofonici dei dischi.

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