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Inaugurata la terza Riccardo Muti Italian Opera Academy a Milano: la Fondazione Prada si trasforma in sala da concerto

Per oltre due ore, con l’energia di sempre, Muti ha catapultato il pubblico nel mistero di "Don Giovanni" di Mozart-Da Ponte

Inaugurata la terza Riccardo Muti Italian Opera Academy a Milano: la Fondazione Prada si trasforma in sala da concerto
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"E come disse Donna Elvira a Leporello travestito da Don Giovanni: eccomi a voi”. Esordisce così, con humour da gran mattatore, il direttore d’orchestra Riccardo Muti, inaugurando mercoledì — con Miuccia Prada e Patrizio Bertelli in prima fila — la sua terza Riccardo Muti Italian Opera Academy a Milano. Per l’occasione il Deposito di Fondazione Prada si è trasformato in una sala da concerto, con fondali giallo ocra e strutture acustiche pensate ad hoc. E tale sarà fino al 30.

Per oltre due ore, con l’energia di sempre, Muti ha catapultato il pubblico nel mistero di "Don Giovanni" di Mozart-Da Ponte: l’opera che scandaglierà con i ragazzi dell’Orchestra Cherubini, i nove direttori selezionati, i maestri collaboratori e cantanti. “Dedicarmi ai giovani — dice — è forse la cosa più importante che abbia fatto nella mia vita musicale”.

Il maestro torna più volte sul concetto che “l’opera italiana è un patrimonio da custodire, un’eredità che non possiamo permetterci di smarrire”. Ed è proprio per questo che ha creato l’Academy: per insegnare come si prepara ed esegue l’opera italiana. “Che non è il Vincerò (ndr dalla Turandot di Puccini) tenuto all’infinito”, dice mimando il tenore che si pavoneggia sull’onda dell’acuto.

In vent’anni sono passati più di milleduecento ragazzi dalla Cherubini e centinaia dall’Academy, “molti oggi siedono nelle orchestre italiane e straniere. Ma altri, pur diplomati con dieci e lode, non trovano un posto. E io mi chiedo: che se ne fa un Paese di un violinista eccellente se poi lo lascia a spasso?”

Il confronto internazionale è amaro. “A Seul hanno ventidue orchestre sinfoniche, in una sola città. Noi, Paese che ha inventato le note, il rigo musicale, gli strumenti, l’opera, abbiamo eliminato perfino le orchestre della Rai di Milano, Roma e Napoli”. Una vergogna nazionale.

Da qui il passaggio a Don Giovanni, che per dirla con Goethe “non è una composizione, ma un’alta espressione dello spirito”. E Muti aggiunge, “Don Giovanni non è solo un seduttore. È una figura eterna, che attraversa i secoli da Tirso de Molina fino a noi. Rappresenta la libertà, la ribellione alle convenzioni. Per questo continua a parlare al pubblico”.

La memoria — anche nostra — corre al Don Giovanni della Prima della Scala 1987, con Muti sul podio, allora direttore musicale, e Giorgio Strehler alla regia. “Una sera restò fino a mezzanotte a ritoccare una luce che a me sembrava già perfetta tre ore prima. Insegnamento semplice: non è mai abbastanza. E questo vale anche per voi”, dice ai giovani.

Poi la stoccata a tanta regia contemporanea, “oggi il mondo è cambiato. Ci sono registi che fanno il loro spettacolo e il direttore sta lì a battere il tempo, quasi rassegnato. Ma teatro e musica sono una cosa sola. Il direttore è corresponsabile, non può tapparsi gli occhi”.

La serata alla Fondazione Prada diventa così un appello civile: serve un Paese che creda nei suoi giovani, nelle sue orchestre, nel suo teatro.

Un patrimonio si difende con la stessa ostinazione con cui Strehler regolava una luce: la cultura non si eredita, si costruisce ogni giorno.

Nel frattempo l’Academy, nata a Ravenna dieci anni fa, è diventata itinerante, dopo le tappe (anche ripetute) in Cina e Corea, in aprile tornerà in Giappone, proprio con Don Giovanni.

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