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Tina Anselmi, la partigiana democristiana che è finita sulla tessera del Pd

Maestra elementare, staffetta partigiana, sindacalista e poi parlamentare della Dc. Ministro del Lavoro e poi della Sanità, guidò la commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, finendo emarginata dai suoi colleghi di partito

Tina Anselmi, la partigiana democristiana che è finita sulla tessera del Pd

Ogni anno la tessera del Pd presenta un design diverso, spesso dedicato a un tema o a una figura simbolica, meno di frequente a personalità politiche. Tra i volti noti due anni fa campeggiava quello di Enrico Berlinguer, segretario del Pci dal 1972 alla sua morte, avvenuta nel 1984. Il prossimo anno, invece, sulla tessera ci sarà il volto di una donna, una democristiana, Tina Anselmi. Ed è proprio di lei che parliamo in questa puntata della rubrica “C’era una volta la Prima Repubblica”.

Elly Schein mostra la tessera del Pd che raffigura Tina Anselmi

Nasce a Castelfranco Veneto nel 1927, prima di quattro figli di Ferruccio Anselmi e Norma Ongarato. Il padre, originario di Padova, proviene da una famiglia benestante. La nonna materna, figlia in un oste, rimasta vedova presto è costretta a tirare avanti una famiglia da sola, avendo dovuto lasciare la casa dei suoceri, per la sua indole caparbia e determinata avrà una grande influenza sulla nipote.

Dall’assassinio dei nazisti alla lotta partigiana

Dopo gli studi al Ginnasio dalle suore Tina Anselmi entra a far parte della Gioventù Femminile dell’Azione Cattolica. Nel settembre 1944 l’episodio che la segnerà per sempre: insieme ad altri giovani studenti è costretta ad assistere all’assassinio, da parte dei tedeschi, di una trentina di prigionieri catturati durante un rastrellamento. Persone scelte a caso, che non avevano partecipato ad alcuna azione militare o di resistenza. Quel crudo episodio di sangue, vissuto davanti ai suoi occhi, fa crescere in lei il desiderio di battersi sempre contro la barbarie del nazifascismo. Prende parte alla Resistenza con un nome di battaglia, Gabriella, facendo la staffetta per consegnare i messaggi ai partigiani. Nel 1944 si iscrive alla nascente Democrazia cristiana. Nel 1951 si laurea in Lettere alla Cattolica di Milano e inizia a lavorare come maestra in alcuni paesini di montagna.

L’impegno nel sindacato e gli inizi nel partito

Prima di dedicarsi alla politica matura una significativa esperienza nel mondo sindacale, inizialmente nella Cgil poi, fin dalla sua fondazione (1950) nella Cisl, sindacato di ispirazione cattolica. Di quali lavoratori si occupa? Di quelli che operano nel settore tessile e degli insegnanti delle elementari, i suoi colleghi. Si fa conoscere e apprezzare creandosi uno spazio all’interno della Dc, come incaricata nazionale dei giovani. Nel 1959 entra nel consiglio nazionale del partito e, quattro anni dopo, è vicepresidente dell’Unione europea femminile.

La vita politica

Il grande salto nell’agone politico Anselmi lo compie alla fine degli anni Sessanta, quando entra alla Camera dei deputati (1968) restandovi, sempre rieletta nella circoscrizione Venezia-Treviso, fino al 1992. In 24 anni di attività parlamentare si occupa di diversi temi, con un occhio di riguardo al lavoro, alla sanità e alle pari opportunità. È tra le prime firmatarie, nel 1977, della legge che per la prima volta in Italia indica l’obiettivo della parità salariale e di trattamento nei posti di lavoro. Come ministro della Sanità si impegna a fondo per istituire, dopo anni di attesa, il Servizio sanitario nazionale. Nel 1984 rende noto che, durante il suo ministero, vi erano stati dei tentativi di corruzione per un valore pari a circa 32 miliardi di lire, senza chiarire bene da dove provenissero (qualche anno fa circolò la voce che potessero provenire da una o più case farmaceutiche, i cui prodotti erano stati ritirati dal mercato dopo l’introduzione del servizio sanitario nazionale, ma la notizia non è stata mai confermata).

Il rapporto stretto con Aldo Moro

Il presidente della Dc è stato il “padre politico” di Tina Anselmi. Dopo quattro anni di potere il suo partito lo aveva accompagnato alla porta di Palazzo Chigi: a quel punto il leader pugliese si era distaccato dai cosiddetti “dorotei” (che comprendeva, tra gli altri, Mariano Rumor, Flaminio Piccoli ed Emilio Colombo) e, nel 1968, aveva dato vita ad una propria corrente. Con lui c’erano anche due donne: la toscana Maria Elettra Martini e Tina Anselmi. La corrente non ebbe mai un nome ma fu chiamata semplicemente "amici dell’onorevole Moro". Andò avanti qualche anno fino a che, nel 1975, Benigno Zaccagnini (molto vicino a Moro) fu eletto segretario della Dc. Nel drammatico periodo in cui Moro fu tenuto prigioniero dalle Brigate rosse il partito dello scudo crociato assegnò alla Anselmi il compito delicatissimo di tenere il collegamento con la famiglia Moro. Fu lei che comunicò a Eleonora Moro il ritrovamento del corpo senza vita del marito in via Caetani.

Tina Anselmi, Flaminio Piccoli e Benigno Zaccagnini
Tina Anselmi, Flaminio Piccoli e Benigno Zaccagnini

Le indagini sulla P2

Tra le attività della Anselmi merita una menzione il fatto che sia stata presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia massonica P2 che, come noto, tra le sue liste vedeva 962 nomi tra cui 192 alti ufficiali, tra generali e colonnelli, un centinaio di politici, magistrati, alti gradi della burocrazia dello Stato, vertici dei servizi segreti, imprenditori e giornalisti.

Nel puzzle inestricabile che le verrà affidato Anselmi avrà modo di ricollegare il "caso Moro" a un disegno politico più ampio che, probabilmente, coinvolgeva alcuni alti esponenti del suo stesso partito. Anselmi, infatti, ricostruì che alla testa dei servizi segreti italiani e di altri uffici cardine dello Stato, all'epoca del sequestro e dell'assassinio del presidente della Dc c'erano alcuni affiliati alla P2. Le sue tesi non vennero mai confermate nei processi in cui, di tanto in tanto, furono coinvolti alcuni membri della loggia, ma la Anselmi non cambiò mai le proprie convinzioni.

Dopo l’inchiesta parlamentare (approvata il 3 luglio 1984 ma giunta a Montecitorio, per il voto finale, solo nel luglio 1986) Anselmi viene lasciata sola, esclusa dal governo ed emarginata. “Non mi hanno ammazzata - raccontò - solo perché non pensavano che come donna sarei andata fino in fondo”. Subì intimidazioni e minacce (dell’esplosivo fu trovato vicino alla sua casa). Nella relazione finale della commissione Anselmi scrisse: “Molti uomini della P2 passarono indenni”.

Tina Anselmi morì nella sua città, Castelfranco Veneto, a 89 anni.

"La nostra storia di italiani - scrisse nel libro 'Storia di una passione politica'- ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile... È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace".

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