C'erano una volta i cantanti melodici, brillantine, smoking; vennero gli urlatori, rivoluzionari, spettinati, poi gli artisti stranieri, quindi i capelloni delle bande rock, infine i rapper addobbati da rave party, catene, orecchini, anelli. Il festival è cambiato, si è adeguato ai tempi, resta, inattaccabile, il pubblico dell'Ariston, uguale nei secoli, la prima fila con la passerella paesana dell'apparatcik della Rai, al loro fianco parenti e affini, nelle file a seguire, il pubblico pagante, donne cotonate con pellicce e monili, uomini in rigoroso grigio scuro o blu notte, cravatte e rari papillons. Il copione prevede applausi a chiamata, standing ovation episodiche, finte gag con i presentatori, le telecamere offrono lo stesso spettacolo da sempre, le inquadrature riservate ai dirigenti Rai sono da contratto. John Lennon aveva previsto tutto, i Beatles si esibirono il 4 novembre del 1963 a Londra, presenti la regina madre e la principessa Margaret. Rivolgendosi al pubblico, Lennon disse: «Per la nostra ultima canzone abbiamo bisogno del vostro aiuto.
Vorremmo che gli spettatori seduti là in alto, nei posti più economici, tengano il tempo battendo le mani. Tutti gli altri possono farlo semplicemente facendo tintinnare i loro gioielli. La canzone si intitola Twist and shout». Da Londra a Sanremo, nulla è cambiato. A parte la canzone, purtroppo.
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