Umberto Tozzi: "Sono in tour da 50 anni. Faccio il giro del mondo e mi ritiro"

All'Olympia di Parigi l'artista ha annunciato il suo ultimo show dal vivo e la pubblicazione di un disco in autunno. "Alla fine piangerò"

Umberto Tozzi: "Sono in tour da 50 anni. Faccio il giro del mondo e mi ritiro"
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Umberto Tozzi, anche lei si ritira.
«Non mostro la cartella clinica, ma ho passato due anni molto difficili».

L’ha rivelato: un tumore.
«Ho provato la paura di non poter risalire più sul palco. Mi sono spaventato, ma spaventato per davvero».

E ora?
«Ho superato questo terrore e posso finalmente realizzare un’idea che avevo da tempo».

Fare un tour d’addio e poi ritirarsi dalle scene.
«Per ora canto in tre continenti con questo The Final Tour, ma spero che alla fine, prima del 2025, diventino cinque. E ho un disco che uscirà in autunno».

Umberto Tozzi, 72 anni appena compiuti, parla in una saletta dell’Olympia di Parigi e ha scelto di annunciare il ritiro proprio in Francia «che dopo l’Italia è stato il mio trampolino di lancio nel mondo». È pacato, per niente commosso, non indugia a raccontare una carriera fatta di 80 milioni di dischi venduti e popolarità ovunque, non solo qui da noi dove se dici «Gloria» parte subito il coro «manchi tu nell’aria». Poi Ti amo, Stella stai, Si può dare di più che vinse Sanremo, Gente di mare, Gli altri siamo noi. Il primo successo è stato Donna amante mia del 1976 che ora viene pubblicato in una versione cantata con Giuliano Sangiorgi, spuntato a sorpresa qui all’Olympia: «Sono nato con la voce di Tozzi nelle orecchie. Donna amante mia è attuale ancora oggi, un evergreen che influenza lo stile dei giovani cantanti» spiega. Dopotutto il pop italiano passa ancora da Tozzi, un torinese dalla lunga gavetta come chitarrista, poi autore, poi comandante delle classifiche visto che nel 1977 Ti amo rimase al primo posto dal 23 luglio al 22 ottobre vendendo otto milioni di copie nel mondo. «Sono stato un privilegiato ad avere una carriera così lunga - dice lui piemontesemente asciutto - e c’è un tempo per tutto, anche per gli addii, ma certo, immaginare che tutto questo finisca...

Quando finirà l’ultimo concerto si commuoverà o tirerà un sospiro di sollievo?
«Penso che piangerò, il dono che ho ricevuto è stato troppo speciale».

E poi?
«Mi auguro accadano cose importanti, magari lavorerò a qualche colonna sonora».

All’inizio Tozzi non era molto amato dalla critica.
«Ho avuto rapporti non simpatici. Mi chiedevo: ma cosa ho fatto di così male se ho fatto un successo mondiale? Negli anni successivi ho incontrato molti dei critici e ho scoperto che si erano ricreduti».

Se la prendevano con i suoi testi, poco in linea con quelli pensosi e politicamente schierati dei cantautori. C’erano versi come «Apri la porta a un guerriero di carta igienica» (da Ti amo) che lasciavano disorientati.
«Massì, era un modo più elegante per dire “uomo di m...”».

Il sottosegretario Mazzi ha appena proposto un protocollo governativo per limitare la violenza nei testi delle canzoni.
«Penso che non ci debba essere nessun tipo di chiusura o censura. La libertà di scrivere e di cantare quello che si vuole vale più di qualsiasi altra cosa, io sono sempre per la libertà».

Si dice tormentone e si pensa a Tozzi. Consigli a chi prova a farne uno?
«Oggi i ragazzi scrivono in modo diverso da noi, non si possono dare consigli. Quando scrivevamo una canzone, non sapevamo che sorte avrebbe avuto e se incidevamo un disco che non andava bene, l’anno dopo ne pubblicavamo un altro. Ora è diverso. Ora leggo che devono pubblicare un singolo ogni quattro mesi, è molto difficile resistere in questo modo».

I Måneskin ce l’hanno fatta.
«Forse il rock consentiva di avere più spazi negli Usa. In ogni caso, mi auguro che accada sempre più spesso quando accaduto ai The Kolors che, dopo Italo Disco, si sono ritrovati a fare tour in Europa».

A proposito, sempre più artisti giovani si fermano o si ritirano dalle scene.
«I periodi di depressione li abbiamo passati tutti, ma siamo andati avanti, cercando sempre di fare un disco migliore di quello prima».

Lei forse ha raccolto meno di quanto avrebbe potuto.
«Giancarlo Bigazzi, l’autore produttore che mi ha cambiato la vita, diceva sempre che ero “una Ferrari con il pieno ma chiusa in un garage”. Sono sempre stato molto pigro. In un certo senso aveva ragione, ho perso qualche treno, ma comunque ne ho presi tanti altri».

Servono i fallimenti?
«Di certo gli

insuccessi servono tanto.
E anche imparare a cambiare».

Lei ad esempio?
«Beh io mi vergognavo della mia voce, pensi che da ragazzo volevo fare il calciatore. Ma se ci fossi riuscito, ora cosa farei?».

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