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Mussolini, Claretta e gli Alleati: la storia che non si racconta

Mussolini, Claretta  e gli Alleati: la storia  che non si racconta

Alla fine del ’41, qualche giorno dopo che l’Italia ebbe dichiarato guerra agli Stati Uniti, il nostro ambasciatore a Washington si imbarcò per tornare in patria. E sulla nave fu raggiunto da un emissario dell’amministrazione Usa che gli comunicò confidenzialmente che «quando giungerà il momento per l’Italia di prendere le sue decisioni, il popolo italiano potrà contare su un’accoglienza favorevole da parte degli Stati Uniti». Insomma, il democratico Roosevelt guardava alla pace, senza pregiudizi (non avendone mai avuti) verso il nostro Paese e il fascismo. A ragion veduta, quindi, all’inizio del ’42 Mussolini sbalordì il capo della polizia Carmine Senise dicendo «non vi meravigliate se sentirete alla radio un mio discorso in onore di Roosevelt».
Cambiamo scenario. Nella primavera del ’46 in Italia gli uomini di buona volontà (e di grande sensibilità, se non politica, civile) invocavano la pacificazione nazionale fondata su giustizia e verità. Fra questi c’erano il socialista Carlo Silvestri, giornalista perseguitato dalla dittatura fin dal delitto Matteotti, e l’anticomunista Franco De Agazio, altrettanto coraggioso direttore del periodico di destra Meridiano d'Italia. Giustizia e verità. Ovvero: fine delle vendette che perpetuavano la resa dei conti; e informazione completa sul periodo ’43-45 e quindi anche sull’uccisione di Mussolini e sul tesoro di Dongo.
Dei rapporti fra Alleati e Italia nella prima metà degli anni Quaranta del secolo scorso si occupa La gabbia infranta di Ennio Di Nolfo e Maurizio Serra (Laterza, 306 pagg., 20 euro), degli ultimi giorni del dittatore tratta Perché uccisero Mussolini e Claretta di Franco Servello e Luciano Garibaldi (Rubbettino, 216 pagg., 16 euro). Due libri diversissimi. Il primo, sull’alta politica, scritto dal maggiore fra gli storici italiani delle relazioni internazionali (Di Nolfo: professore emerito dell’Istituto Cesare Alfieri di Firenze) e da un diplomatico incline all’insegnamento (Serra), il secondo, sulla bassa macelleria, scritto da un politico di lunghissimo corso (Servello: in Parlamento per il Msi e An dal ’58 al 2006) e da un giornalista col vizio della saggistica (Garibaldi).
Ma entrambi i volumi indurranno molti a parlare, chi esultando e chi scandalizzandosi, di revisionismo. Perché gettano nuova luce sugli anni in cui furono inferte alla nostra collettività ferite che si rimarginarono con tanta fatica, che negli anni Settanta produssero quei rigurgiti di guerra civile che furono le stragi e il terrorismo.
A Di Nolfo e Serra interessa mettere in evidenza: la continuità dei rapporti fra Usa e Italia a dispetto del conflitto; quel coacervo militar-diplomatico-politico di equivoci, trappole, inerzie, bluff, casualità, mosse false e false promesse che fu coperto, anche in virtù di quella continuità, dietro lo slogan della «resa senza condizioni» che fu tradotto nel doppio armistizio (ennesimo trucco) di fine estate ’43. E lo fanno rivelando, fra l’altro, missioni (anti-inglesi) segrete come quella del ’44 di Enrico Scaretti. Costui, vicepresidente della Croce rossa italiana, fu spedito in Usa dal governo Bonomi per cominciare a discutere le questioni economiche e finanziarie del «dopo». Di Nolfo e Serra hanno inserito, per la profondità della narrazione e il piacere del lettore, numerose chicche prese dai diari e dalle testimonianze di protagonisti e di comprimari e dai carteggi (Roosevelt-Churchill, Churchill-Stalin, Roosevelt-Eisenhower...) all’epoca top secret.
Servello e Garibaldi ripropongono le drammatiche verità sulla fine di Mussolini e sul ruolo cruciale che in essa ebbero i capi del Pci Togliatti e Longo.

Cioè le evidenze la cui pubblicazione costò la vita a De Agazio (zio e «maestro» di Servello), ucciso nel ’47 dalla Volante rossa e così accomunato alla sorte dei pochi coraggiosi, anche comunisti, che smentirono le versioni ufficiali.

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