Da Mussolini a Veltroni

Mussolini, da sotto via del Corso, proprio dietro Palazzo Chigi, fece tirar fuori l’Ara Pacis, il monumento voluto da Augusto per segnare la grande pace del mondo antico. L'Ara, sempre per volere del Duce, fu posta sotto una teca disegnata dal Morpurgo, affacciata sulla piazza costruita intorno al mausoleo dell'imperatore. A dispetto del messaggio intrappolato nel tempio, nell'ultimo lustro sono stati in molti a guerreggiare per la sorte toccata alla teca che difendeva l’Ara: guerre tra architetti, guerre tra coalizioni, guerre tra amministratori, guerre d’inaugurazioni. Oggi il monumento è di nuovo lì, con tutto il suo spazio attorno, una montagna di travertino che lo incarta e chilometri quadrati di cristallo che lo consegnano, nudo, agli sguardi della confusione del lungotevere. Minimalismo americano, algido, freddo, così lontano da quella Roma barocca bionda e riccioluta: milioni spesi per togliersi dalle scatole un po’ di fascismo e far felice un sindaco che voleva far l'americano. Passati pochi giorni, tutto è tornato al suo posto.

Nei silenzi delle distese di marmo piallato, distribuite con la diligenza della buona mamma di famiglia, si accucciano cinque piantine nei loro bei vasetti in plastica color mattone, goffe e rigogliose a dialogare con gli estintori rosso semaforo. C'è una seggiolina di design imitato con la seduta in vimini e una stringa aeroportuale per fermare il vuoto che separa uno scalino dal tempio. E vorresti buttar giù tutto.

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