Ci mancava solo questa: la Venere nera che diventa rossa. Il carattere anarchico di certo ce l’ha sempre avuto e la provenienza un po’ l’aiuta. È figlia di una ballerina emigrata, il papà l’ha abbandonata subito, è cresciuta a Streatham, lo Zen di Londra. Ha girato film che nessuno ha mai visto, cantato canzoni che nessuno ha mai ascoltato e scritto libri che nessuno ha mai letto come tante teste d’uovo di sinistra. Ma compagna, chi se l’aspettava?
Naomi è fatta così. Costa 60mila euro a sfilata, 200mila a campagna pubblicitaria, per assicurarsi uno solo dei suoi giorni alcuni organizzatori coreani hanno sborsato 225mila euro, viaggia con non meno di diciotto valigie al seguito, è stata fidanzata di pugili, cantanti rock, sceicchi, playboy, imprenditori, mai un metalmeccanico, mai un minatore. Ma adesso ha scoperto l’impegno sociale, le campagne no global, la lotta dura senza paura. La compagna Naomi raccoglie soldi per la Children Found di Mandela, di cui è nipote onoraria, dice di ammirare Castro «perché mi ricorda molto zio Nelson», e di odiare Bush, partecipa a vertici anti imperialisti, si batte contro la discriminazione dei neri, ma solo dalle copertine di Vogue che, a suo dire, discrimina le modelle di colore, proprio lei che per pubblicizzare cosmetici si faceva fotografare più bianca di Michael Jackson. E adesso, giura la propaganda di regime, flirta con Chavez «El toro», pare abbia detto lei, civetta. Cos’abbia in comune con Hugo difficile da capire: lei si cambia d’abito almeno cinque volte al giorno, lui lo si vede in giro sempre con la solita camiseta, rossa d’ordinanza, lui adora Marx&Engels, lei Dolce&Gabbana, lui ha come amici Castro e Ahmadinejad, lei Valentino e Briatore che per conquistarla le regalò un anello di diamanti grosso come una noce, Chavez invece le ha rifilato un dipinto firmato da lui medesimo, che più spilorcio non si può.
Ma pare siano altri gli attestati che testimoniano la sua nuova vocazione rivoluzionaria. L’aspirazione a una società di uguali per esempio la dimostrò quando fracassò a cazzotti la faccia della sua (ex) amica Yvonne Sciò colpevole di essersi presentata al party con un vestito uguale uguale al suo. Il pugno chiuso sollevato al cielo poi non ha esitato ad abbassarlo, un attimo dopo, su quelle teste dure delle sue domestiche, tre l’hanno denunciata per maltrattamenti, la quarta, Ana Sclavina, invece è finita in ospedale colpita dal telefonino intarsiato di pietre preziose della padrona: l’aveva sorpresa a rubarle un ciondolo di Winnie the Pooh vestito da rana e aveva gridato all’esproprio proletario. Per questo, per la prima volta in vita sua, è finita a lavorare: cinque giorni a spazzare e lavare i pavimenti del quartier generale della nettezza urbana di New Yok, uno dei posti più puzzolenti della Lower East Side di Manhattan. A fine pena s’è sfilata le scarpe da ginnastica, i guanti di gomma e il gilè arancione, per infilarsi un abitino color argento, costoso come un monolocale, e se n’è andata in Rolls Royce, forse non socialmente utile ma economicamente comoda.
Adora la lotta di classe purché non sia economica: «Viaggio solo su aerei privati, darling, I don’fly commercial», e alla casa del popolo comunque non ha mai smesso di pensare. Un casinò super lusso a Malindi, sulla costa keniana che si affaccia sull’Oceano Indiano, in società con Briatore, e che non a caso si chiamerà Billionaires Resort. Casa da gioco incastonata in un albergo per miliardari a sei stelle, circa quaranta appartamenti, una sciocchezza da 150 milioni di euro.
Massimo M. Veronese
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