Una Napoli degradata dove sognare la fuga

C’è una partitura a tre voci che assembla le emozioni più contrastanti dell’animo umano nell’intenso Chiòve diretto in questi giorni a India da Francesco Saponaro, regista partenopeo già apprezzato in spettacoli quali, per esempio, L’Orso e Una domanda di matrimonio di Cechov. C’è uno spaccato sociale dove la durezza della realtà affoga nell’ansia di fuga e nelle illusioni delle parole. C’è una Napoli popolare, degradata e insieme viva. C’è la forza libera della purezza e al contempo la morsa coercitiva del dolore.
C’è un testo che, scritto dal giovane autore catalano Pau Mirò e adattato da Enrico Ianniello, sa parlare di noi, di tutti, di chiunque. C’è una regia sobria e chiaroscurale che, oscillando tra astrazione e concretezza, evoca i nomi di Ruccello, Moscato, Cirillo. E ci sono, soprattutto, tre bravi interpreti: lo stesso Ianniello, Giovanni Ludeno (sostituito nelle ultime repliche da Carmine Paternoster) e Chiara Baffi (premio Ubu 2009), i quali si calano nella vicenda con una credibilità mai meccanica, mai artificiosa. Tanto che i loro dolenti personaggi - la prostituta Lali (allegra e solare ma fortemente desiderosa di un’esistenza normale), il protettore di lei Carlo (depresso, nevrotico, divoratore instancabile di hamburger e Baci Perugina) e l'ambiguo cliente, il libraio Davide, elargitore di belle frasi e belle promesse - trascinano il pubblico dentro una storia che finisce col pretendere partecipazione e compassione.


Una storia di sogni negati: alla fine lei si illuderà di poter cambiare lavoro, mentre un diabolico accordo tra «maschi» la costringerà a sentirsi di nuovo in trappola. Una storia di esistenze perse eppure indissolubilmente legate. Da vedere!

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