Cronaca locale

Lanciò Samuele dal balcone. 18 anni di carcere al domestico

Il piccolo, di soli 4 anni, era stato gettato nel vuoto dal balcone di casa. Il domestico è stato condannato per omicidio aggravato

Lanciò Samuele dal balcone. 18 anni di carcere al domestico

È stato condannato a 18 anni di carcere Mariano Cannio, il domestico accusato di aver lanciato giù dal balcone di casa dei genitori, in un appartamento del centro storico di Napoli, il piccolo Samuele Gargiulo, un bimbo di 4 anni. Al 39enne, affetto da patologie psichiatriche ma ritenuto capace di intendere e volere, il sostituto procuratore Barbara Aprea ha contestato il reato di omicidio aggravato. Circostanza confermata dal gup di Napoli Nicoletta Campanaro al termine del processo con rito abbreviato celebrato questa mattina (martedì 27 settembre).

La condanna

I fatti risalgono al 17 settembre scorso. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il giorno della tragedia, Cannio stava facendo le pulizie a casa dei genitori del bimbo. Nel corso dell'udienza di oggi, l'avvocato Maria Assunta Zotti, difensore del domestico, non ha escluso l'ipotesi della incidente, ovvero, che il bimbo possa essersi sporto dalla ringhiera, arrampicandosi su un oggetto trovato in balcone. Il 39enne, accusato di omicidio aggravato, ha reso anche dichiarazioni di colpevolezza sulla morte di Samuele che, a detta del legale, potrebbero anche essere state indotte dallo stato di salute precario del suo assistito.

La tragedia

Samuele, 4 anni, era precipitato da un balcone al terzo piano di un palazzo in via Giuseppe Piazzi, ad angolo con via Foria, nel cuore del città partenopea. Un volo di 15 metri nel vuoto prima di finire sull'asfalto. A lanciare l'allarme erano stati alcuni passanti che avevano notato il bimbo riverso in una pozza di sangue sul marciapiede. Nonostante l'arrivo tempestivo del 118, per il piccolo non vi era stato nulla da fare. Sin da subito, i sospetti degli inquirenti si erano concentrati su Mariano Cannio, il domestico della famiglia Gargiulo. Era stata la mamma del bimbo, al tempo incinta all'ottavo mese, a fare il nome del collaboratore. L'uomo era stato arrestato il sabato successivo alla tragedia con l'ipotesi di reato per omicidio. Una perizia psichiatrica avrebbe accertato l'esistenza di una patologia pregressa ma non tale da renderlo incapace di intendere e volere.

Oggi il 39enne è stato giudicato colpevole del reato di omicidio aggravato e condannato a 18 anni di reclusione.

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