Cronaca locale

L'agonia del Vesuvio, le bellezze sepolte dai rifiuti

Il Vesuvio continua a rappresentare uno sversatoio di rifiuti speciali e pericolosi. La devastazione ambientale che va avanti da decenni non si è mai fermata e nessuna bonifica è stata ancora effettuata

L'agonia del Vesuvio, le bellezze sepolte dai rifiuti

Da lontano se ne ammira la straordinaria bellezza. Dall’alto si prende coscienza degli abusi. Ma è da vicino che si tocca con mano la devastazione operata dall’uomo sul Vesuvio, tra le strade e le cave naturali dove nel tempo hanno finito per consumarsi veri e propri disastri ambientali. Se da una parte il cratere continua ad attirare turisti e a ottenere la concreta attenzione delle istituzioni, sul resto del vulcano, lungo le sue pendici, resta la desolazione e la natura deve continuare a farsi strada tra quei rifiuti di ogni genere scaricati illegalmente per decenni.

Il Parco nazionale del Vesuvio, istituito nel 1995 per salvaguardarne le bellezze naturali e le specie vegetali e animali che lo popolano, continua a rappresentare uno sversatoio di rifiuti. L’area, che si estende su 13 diversi comuni, andrebbe protetta. Ma resta zona franca per chi i rifiuti non vuole smaltirli legalmente e decide di avventurarsi tra le strade impervie del vulcano per raggiungere qualche angolo sperduto dove abbandonarli. Nel versante più basso del Vesuvio, dietro une recinzione, un vecchio e sbiadito cartello tra i comportamenti vietati nel Parco elenca anche quello di non depositare rifiuti. Per leggere bisogna avere una buona vista ed avere la fortuna che il reticolo di ferro non copra le parole. Ma evidentemente non serve.

I sentieri che attraversano le pendici del Vesuvio, inizialmente asfaltati o fatti si sanpietrini, salendo diventano sterrati. Pietre laviche e rifiuti ne formano la superficie. Potrebbero essere invasi da turisti, da scolaresche, da appassionati di trekking. Invece sono deserti. Le ginestre ancora fioriscono in quello scempio. La valeriana rossa pure si contraddistingue. Il panorama è mozzafiato. Le poiane volteggiano alla ricerca di prede e della loro caccia lasciano tracce tra i rovi. Nella zona delle Lave Novelle, nel territorio di Ercolano, si possono ammirare gli strati della lava solidificata, quella colata con le eruzioni del 1855 e del 1872. Una meraviglia. Ma è una discarica. Da decenni. I rifiuti hanno finito per innalzare il livello la sponda stradale. Si percepiscono sotto i piedi. I canneti e rovi li nascondono.

La villa romana sepolta dai rifiuti

All’ombra del magma diventato roccia, c’è una delle cave naturali che l’uomo ha reso una discarica, una discarica illegale che sta finendo per seppellire anche una villa di epoca romana emersa con degli scavi che furono eseguiti negli anni Ottanta del secolo scorso. Oggi, a occhio nudo, è difficile individuarla. È ricoperta da qualche arbusto, da pneumatici e materiale di risulta edile che lì sono stati sversati negli anni. Aguzzando la vista e conoscendone la posizione, a stento si è in grado di vedere dall’alto l’opus reticolatum sulle pareti rimaste in piedi. Quel che resta della villa (probabilmente rustica), si trova in una profonda fossa che si apre in quella che è una colmata di rifiuti foderata di verde. Il fondo della buca in un tempo lontano e imprecisato era il piano calpestabile della cava.

L’area, di proprietà privata, in passato è stata sottoposta a sequestro. Oggi si presenta ancora piena di quelle buche che gli escavatori crearono nel 2014 alla ricerca di rifiuti tossici: grazie alla denuncia di un parroco furono trovati numerosi fusti sotterrati da cui fuoriusciva materiale bituminoso. Quella zona non è mai stata bonificata. Oggi è ancora una discarica di rifiuti, che il verde della vegetazione cela, e le cui dimensioni variano solo in aumento, perché c’è ancora chi, probabilmente dall’alto, vi sversa di tutto.

All’interno si possono notare superficialmente guaine, pezzi di mattonelle, materiale edile, amianto, e altri rifiuti arrugginiti dal trascorrere del tempo. Ci sono persino cumuli di bottiglie di vetro rotte. Sembrano arrivare da qualche campana della raccolta del vetro o da qualche ditta che con i contenitori di vetro ci lavora. Una parte sarebbe stata sversata più recentemente, l’altra risulta cristallizzata, probabilmente avvolta dalle fiamme dell’incendio di rifiuti che a settembre scorso si propagò da via Castelluccio. Eppure c’erano le telecamere di videosorveglianza, quelle di ultima generazione.

Abbandono di rifiuti e roghi tossici, nonostante le telecamere

Gli occhi elettronici in via Castelluccio sono attivi da luglio 2018. Ma non sono bastati a impedire l’ennesimo rogo tossico. Furono inaugurate in pompa magna. All’evento partecipò anche il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, lo stesso ministro che a giugno scorso scelse il Vesuvio per lanciare l’iniziativa #iosonoambiente2019 promossa dal suo ministero. “Sono voluto partire dal Vesuvio perché qui nel 2017 c’è stata un’aggressione criminale che ha strappato l’anima a un parco nazionale. Tre mila ettari di bosco sono andati totalmente o parzialmente distrutti, però si è lavorato perché non accada mai più” disse Costa, spiegando l’iniziativa ai microfoni dell’agenzia Vista. E sottolineò: “Sarà tutto plastic free”. Parlava dal gran cono del Vesuvio, quello agghindato per i turisti. Peccato che a un paio di chilometri dal suo naso c’era un inferno di rifiuti, quelli vecchi mai rimossi e quelli nuovi, e c’erano le cave diventate discarica, che attendono ancora di essere bonificate.

Milioni di euro per bonifiche ancora irrealizzate

Nel 2006 il ministro dell’Ambiente dell’epoca assegnò delle risorse per le bonifiche ambientali. Circa 6,7 milioni di euro furono destinati al territorio vesuviano. Di quell’importo, fino nel 2014 erano stati spesi solo 1 milione e 40 mila euro. Siccome, nel frattempo – nel 2012 - il litorale Vesuviano da Sin, sito di interesse nazionale, era diventato Sir, sito di interesse regionale - quindi la bonifica delle aree contaminate era passata nelle mani della Regione - la giunta regionale campana nel 2014 deliberò di procedere con un accordo di programma con il ministero dell’Ambiente per definire interventi di risanamento da finanziare con la parte dei fondi che non era ancora stata usata, circa 5,7 milioni di euro. Con quella somma bisognava attuare piani di indagini preliminari, la caratterizzazione dei suoli e delle acque di falda, realizzare interventi di messa in sicurezza di emergenza, bonificare le aree risultate contaminate. Ma dal 2014 ad oggi sul Vesuvio nulla è cambiato. Le cave restano piene dei rifiuti sversati nel tempo, e lo scarico illegale non si è mai fermato.

A dicembre del 2014 un gruppo di parlamentari, del Movimento cinque stelle oggi al Governo, presentò un’interrogazione indirizzata al ministero dell’Ambiente e al ministero dei Beni e delle Attività culturali. Chiedevano chiarimenti sugli interventi di bonifica realizzati con la prima parte di fondi ministeriali investiti e sulle operazioni per le quali intendeva procedere la Regione Campania per la parte restante dei fondi. Ma, se è corretto quanto è riportato sul sito internet della Camera, non hanno ancora ottenuto una risposta, dal 2018 da se stessi.

Nel frattempo, un anno fa, sono arrivate altre risorse: a ottobre del 2018 il ministro Costa, in occasione della presentazione del Grande progetto Vesuvio, annunciò che 12 milioni di euro del bilancio dello Stato sarebbero stati destinati a un percorso diretto alla bonifica di “siti orfani”. La bonifica doveva iniziare da una delle discariche presenti ad Ercolano. Il giorno successivo in via Castelluccio furono prelevati dei campioni dai rifiuti ammassati ai margini della strada, nel posto dove poi, un anno dopo, sono andati a fuoco. Tanto il materiale contenente amianto che si vede oggi abbandonato in superficie.

In area protetta le cave-discarica autorizzate

Restando nel territorio di Ercolano, qui si trova una delle cave del Vesuvio che nel periodo della crisi del rifiuti in Campania sono state costrette ad accogliere la monnezza raccolta dalle strade dei comuni di Napoli e provincia. Discariche autorizzate, create in un’area protetta. Una vera e propria violenza. Nel 2008 si stabilì che nella cava Ammendola e Formisano si dovessero stoccare temporaneamente rifiuti, quelli tal quale. Dovevano restare per sei mesi, ma è passato un decennio e sono ancora lì a putrefarsi, coperti da un telone nero. Un serbatoio raccoglie il percolato che una ditta arriva a prelevare periodicamente. Un danno anche economico, oltre che ambientale. Sarebbe il comune di Ercolano a sostenere le spese per la sua raccolta.

“Più volte in passato abbiamo segnalato che da questa vasca tracimava il percolato, l’ultima volta nel 2011”, racconta Ciro Teodonno, presidente della Commissione regionale per la tutela dell’ambiente montano del Club alpino italiano. E ci mostra i segni lasciati da quelle perdite sulla vasca. Ora, il foro da cui fuoriusciva il percolato finendo sul terreno risulta occluso da una spugna. Teodonno, da alpino e giornalista, è un profondo conoscitore del Vesuvio. Ormai ha imparato a riconoscerne anche le discariche dei rifiuti e riesce a seguirne l’evoluzione. “Con altre associazioni abbiamo geolocalizzato le discariche”, riferisce. “Questi – dice indicando dei sacchi bianchi – sono qui dall’autunno del 2018”. Sono i big bag in cui vengono raccolti i rifiuti speciali e pericolosi. Se ne trovano disseminati in ogni periferia del Napoletano, e non mancano sul Vesuvio. Voltando lo sguardo si vedono le campagne colorate dai frutti prodotti dalla terra coltivata.

Poco distante c’è addirittura quello che Teodonno definisce “il posto dei roghi”, un punto dove vengono abitualmente bruciati rifiuti speciali. E i cumuli di scarti carbonizzati che si vedono, anche oltre le siepi, ne danno testimonianza. Sono chiare sul terreno le tracce dei mezzi che in quell’angolo tuttora vanno a scaricare. Un mucchio ricoperto di inerti sembra pronto per le fiamme. Gli incendi che nel 2017 distrussero ettari di bosco finirono per incenerire anche molti dei rifiuti abbandonati che stanziavano tra i sentieri del Vesuvio. “Gli incendi boschivi del 2017 non hanno avuto niente a che vedere con i rifiuti. Giù a valle presero fuoco le discariche, ma gli incendi partivano dalla parte alta del Vesuvio. Sicuramente gli incendi misero in luce vecchie discariche, limitrofe alla via carrabile, però non è stato appiccato il fuoco per nascondere i rifiuti sversati, come sostenevano in molti”, sottolinea Teodonno, che in quei giorni era impegnato da volontario nell’inferno che ha lasciato intatti solo 400 ettari di bosco. Lungo le strade del Parco ci sono, invece, i segni di quei roghi che non si sono mai fermati, quelli dei rifiuti. E mentre lasciamo le falde del vulcano, all’orizzonte si leva una colonna di fumo nero. Lo scempio ambientale sul Vesuvio non si ferma.

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