Napolitano ai giudici: «Io vi difendo ma voi state nei limiti»

Il capo dello Stato al plenum del Csm: «Dovete fare la vostra parte per superare le tensioni tra la magistratura e la politica»

Massimiliano Scafi

da Roma

Il rispetto, certo. La difesa dagli attacchi, come no. E poi l’autonomia, l’indipendenza e pure «la tutela dell’onorabilità della magistratura», come chiede il vicepresidente Virginio Rognoni. Tutto bene, tutto giusto, tutto scontato. «Io - promette Giorgio Napolitano al plenum del Csm - sarò vostro fermo difensore». Ma anche voi, aggiunge subito, «con serenità e equilibrio» dovete fare la vostra parte «per superare le tensioni tra magistratura e politica». Bisogna insomma «tenere sempre aperte le porte del dialogo», evitando di chiudersi a riccio nella difesa della categoria: «Le correnti non travalichino i limiti». E bisogna rasserenare il clima «cercando punti di convergenza e trovando un tono che non sia di pura contrapposizione».
A Palazzo de’ Marescialli, il battesimo di Napolitano alla guida del parlamentino delle toghe. C’è tanta roba sul tavolo, dalle riforme del governo Berlusconi, all’esordio di Clemente Mastella, dall’amnistia all’irrisolto scontro di poteri. Il capo dello Stato s’incanala presto sui binari dell’equidistanza tracciati da Carlo Azeglio Ciampi: «Proseguirò l’impegno per il corretto equilibrio istituzionale già portato avanti dal mio predecessore». Per Ciampi, ad esempio, il rispetto va conquistato sul campo e l’autonomia va dimostrata con i comportamenti. Per Napolitano, il basso profilo richiesto ai magistrati serve «per evitare che la dignità venga ingiustificatamente ferita da gratuite forme di delegittimazione». E se per Ciampi i giudici devono essere sempre e comunque al di là del sospetto e fuori dalla mischia, per Napolitano la strada per ottenere «il consenso» passa nel far «partecipare tutti gli operatori del settore, a cominciare dall’avvocatura, da sempre nobilmente impegnata nella tutela del diritto alla difesa, inviolabile e come tale garantito della Costituzione».
Dialogo dunque, sempre e comunque. Come per la politica, questa la ricetta per svelenire i conflitti. E questa è pure «la premessa indispensabile per restituire funzionalità al sistema giustizia». Un pianeta malato, avvitato su una strana orbita e che ha diversi problemi da risolvere. «Il più grave - dice il capo dello Stato - è quello della durata del processo». Tempi biblici, o preistorici, in ogni caso poco consoni a un Paese democratico, civile e sviluppato. «È una questione che va affrontata con rinnovato vigore e convinzione, perché indebolisce seriamente la fiducia dei cittadini nell’operato della magistratura e ci espone a censure europee».
E anche l’autogoverno deve funzionare. Sulle nomine, che «devono essere tempestive e non passare sotto forme caudine di interminabili tentativi di mediazione», condizionati da «visioni correntizie che travalicano i limiti della normale dialettica». Sulla vigilanza, «che investe anche le condotte non direttamente attinenti alla funzione giudiziaria». Bene ha fatto, spiega Napolitano, il Consiglio superiore a proibire ai magistrati ordinari di accettare incarichi nella giustizia sportiva. Conclude parlando di riforme. C’è sicuramente bisogno di «innovazioni normative», evitiamo però «interventi disorganici: ciò vale pure per l’emergenza carceraria, che richiede soluzioni concrete e praticabili».
Orecchie attente a Palazzo de’ Marescialli pure per l’altro debuttante. Che comincia con una dichiarazione-choc. «Non sono un ministro amico dei magistrati, ma un ministro che riconosce ai magistrati ciò che la Costituzione attribuisce». La legge Castelli? Si vedrà, però «nessuna demolizione».

Quello che il nuovo Guardasigilli garantisce è «la volontà di recuperare un clima sereno che restituisca stimoli, fiducia e entusiasmo». Al Csm il ministro chiede «una leale collaborazione» per riuscire a «sopperire alle tante carenze strutturali». L’obbiettivo? «Prosciugare il rancore dei cittadini verso le istituzioni».

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