Napolitano: «Battisti torni e sconti la pena»

Napolitano: «Battisti torni e sconti la pena»

RomaSolo cinque righe, diffuse all’ora di cena, ma bastano al Quirinale per chiudere definitivamente il caso Battisti. Ascolto? Revisione? Udienza? Grazia? Macché, l’unica cosa che l’Italia può fare per quel terrorista, dice Giorgio Napolitano, è sbatterlo in galera e buttare la chiave. «Il signor Cesare Battisti - si legge nel comunicato - deve solo presentarsi nel nostro Paese per espiare, secondo le norme dell’ordinamento penale italiano, le pene alle quali è stato condannato a conclusione di processi svoltisi nella piena osservanza delle regole di uno Stato di diritto».
Chissà, forse non ci credeva nemmeno lui, dopo tutto quello che è successo, di riuscire a riaprire un dialogo. Magari è proprio per questo che l’ex esponente del Pac ci ha provato con un sistema molto poco convenzionale e diplomatico, con un’intervista alle Iene show. «Signor presidente - l’appello del latitante - mi dia la possibilità di difendermi, di presentarmi di fronte a un tribunale in Italia, di rispondere a un interrogatorio vero, come non è mai successo». A queste condizioni «io mi comprometto e risponderò delle mie responsabilità davanti alla giustizia».
No, non ci credeva. «Primo, Napolitano mi manderebbe a quel paese perché lui è il presidente della Repubblica e io un signor nessuno. Secondo, lui in quegli anni era uno dei massimi avversari del movimento rivoluzionario. Mi sembra davvero un irriducibile degli anni settanta, dell’ex Partito comunista stalinista, non è la persona adeguata per dire all’Italia “giriamo la pagina, dimentichiamo il passato, riconosciamo le responsabilità e riappacifichiamoci”».
Fin qui il delirio del terrorista-scrittore, difeso per anni dai francesi e poi salvato dall’ex-presidente brasiliano Lula. Frasi farneticanti, provocatorie, che inizialmente il Quirinale aveva deciso di ignorare: a un personaggio del genere meno spazio si dà meglio è. Poi però, con il passare delle ore e con il moltiplicarsi delle reazioni politiche, al Colle hanno cambiato lentamente idea: meglio rispondere per non lasciare dubbi di nessun tipo. A far maturare questa nuova convinzione sono state forse le parole di Alberto Torregiani, il figlio del gioielliere ucciso da Cesare Battisti nel febbraio del 1979 e rimasto gravemente ferito durante l’agguato: «Scenderò in politica nel centrodestra per difendere la giustizia. Piuttosto che lanciare nuovi appelli al capo dello Stato per l’estradizione di quel criminale, faccio prima a essere eletto e a muovermi, da deputato, per ottenere qualcosa. Non credo che Napolitano abbia né la volontà ma neppure la voglia di ottenere quella giustizia di cui tanto sia lui che tanti altri politici si riempiono la bocca». Conclusione amara: «È bello parlare di giustizia, ma poi bisogna portare avanti anche delle battaglie per ottenerla».
A questo punto Napolitano, che per mesi ha provato in tutti i modi a convincere i brasiliani a consegnare il latitante, non poteva restare ancora in silenzio. Solo poche righe, sufficienti per ribadire alcuni concetti validi per tutti.

Primo, l’Italia è uno stato di diritto in cui la magistratura è autonoma rispetto alla politica, cosa che evidentemente non succede ovunque. Secondo, Battisti ha già avuto il suo processo equo. Terzo, non si tratta con i terroristi.

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