Crisi e riforme. Temi caldi in Italia, argomenti spinosi che però, secondo Giorgio Giorgio Napolitano, dovrebbero essere affrontati adesso, quando la manovra arriverà alle Camere. A Oporto, dov'è impegnato in un vertice triangolare con Spagna e Portogallo, gli chiedono se l'Italia rischia più del resto dell'Europa. Il capo dello Stato risponde invocando un dibattito politico. La cosa importante, spiega, «è cogliere l'occasione della presentazione della legge di bilancio e della cosiddetta legge di stabilità, che poi è la vecchia legge finanziaria, per un confronto in Parlamento sulle misure da prendere e anche sul programma nazionale di riforme che tutti i Paesi europei devono prendere e a cui ha fatto riferimento il ministro Tremonti». Ma c'è un pericolo di contagio della crisi da parte di altri Paesi europei? «È una questione troppo complicata per rispondere così con poche battute».
Certo, la situazione non è del tutto serena, ci vuole di più prima che i numeri della ripresa ci autorizzino a dichiarare chiusa la lunga fase della crisi economica internazionale. Napolitano non nega che ci siano dei «segnali interessanti», ma restano molti ostacoli sulla strada che porta le economie fuori dell'emergenza. A cominciare dal problema del lavoro. L'occupazione, in particolare quella giovanile, è il vero campanello d'allarme di questi mesi. Una cosa che «preoccupa», dice il capo dello Stato parlando al fianco di re Juan Carlos e del presidente portoghese Cavaco Silva, aggiungendo a braccio un paio di righe al testo del discorso già preparato.
«Gli indicatori registrano segnali di ripresa economica - dice Napolitano - ma questa appare ancora incerta, non uniforme e complessivamente, proprio in Europa, insufficiente». Finora si salvano solo quelle imprese che hanno saputo reagire puntando sull'innovazione tecnologica, che poi è proprio l'argomento di questo sesto simposio della Cotec, cui Napolitano partecipa poche ore dopo aver incontrato a Roma il premier della Cina battistrada del settore. «In una situazione di crisi - prosegue il ragionamento - la capacità dei nostri sistemi economici di accrescere il proprio potenziale di innovazione è assolutamente determinante. Anche per aprire le necessarie prospettive riguardo il problema che più ci preoccupa: il lavoro e l'occupazione, soprattutto quella giovanile».
L'Europa si sta attrezzando, è vero, e quello che un giorno lontano nel passato era il sogno dell'integrazione ora è sempre più una assoluta necessità. Per questo Napolitano chiede la piena attuazione delle «potenzialità offerte dal Trattato di Lisbona», e la creazione di uno «spazio europeo di ricerca che integri le politiche nazionali e superi ogni ostacolo alla libera circolazione dei ricercatori e delle conoscenze». «Questa libertà e il rilancio della competitività», scandisce dal palco dell'Auditorium della città portoghese, «sono due facce della stessa medaglia». In Italia si sta facendo, compatibilmente con i tempi che corrono. Di più deve essere fatto. «Cresce la consapevolezza dell'esigenza di accordare una decisa priorità alla ricerca e all'innovazione - sostiene il capo dello Stato - pur nei limiti che impone il rigore nella finanza pubblica. La bilancia tecnologica dei pagamenti è in attivo, come in crescita è la percentuale di invenzioni brevettate in collaborazione con i ricercatori stranieri».
Tuttavia «non mancano i nodi da sciogliere, dal preoccupante squilibrio a livello regionale, al peso degli investimenti in ricerca e sviluppo tuttora inferiore rispetto a quello dei principali paesi europei, fino alla elevata incidenza delle esportazioni a bassa intensità tecnologica». Non è da lì che passa la strada che porta fuori dal tunnel della crisi. Ci vuole qualcosa di più.
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