Napolitano convince Prodi a dire sì alla base Usa

Cento: si rischia un altro caso Tav. Diliberto: sono dispiaciuto

da Roma

La svolta è maturata lunedì notte, e ha lasciato basiti Prc, Verdi e Pdci che fino a quel momento erano stati rassicurati sul «no» del governo all’allargamento della base Usa di Vicenza. Un no, spiega un esponente dei Verdi, che «Prodi aveva già anticipato informalmente a Washington, tanto che gli Usa avevano chiesto a Berlusconi di denunciare il tradimento dei patti». Lo stesso Fassino, lunedì, ancora riteneva che la linea del «referendum» fosse la scappatoia ufficiale. E invece ieri sera Prodi, da Bucarest, ha ceduto al richiamo del presidente Napolitano e alle richieste degli Stati Uniti. Così ha richiamato i giornalisti e annunciato: «Sto per comunicare all'ambasciatore Usa che il governo italiano non si oppone all'ampliamento della base». Immediata la reazione positiva del Dipartimento di Stato, con l’ambasciatore Spogli che parla di «passo avanti» nelle relazioni. Ma il premier, che ben sa quali devastanti contraccolpi la resa su Vicenza ha nella maggioranza, cerca una via di uscita: la posta in gioco è il voto sulla missione in Afghanistan, il decreto verrà varato la settimana prossima e arriverà in aula a marzo. E senza la contropartita politica del «no» agli Usa, evitare che il governo finisca in minoranza al Senato sarà impossibile.
«Temo che ora avremo enormi problemi», confida la ds Pinotti, presidente della commissione difesa della Camera. E così Prodi smentisce quel che lui stesso aveva affermato, e cioè che la decisione sulla base sarebbe stata presa dal Consiglio dei ministri di venerdì: «Non è un problema che riguarda l'attività di governo», afferma, perchè «non è di natura politica, ma urbanistica». E lascia aperta la porta del referendum, rinviandolo alle decisioni locali.
La sinistra dell’Unione insorge: «Siamo contrari alla decisione», annuncia il segretario Prc Giordano. Diliberto si dice «molto sorpreso e dispiaciuto». Il sottosegretario verde Cento è ancora più esplicito: «Una decisione sbagliata che rischia di diventare come il caso Tav», lasciando intendere che la rivolta di base locale costringerà al dietrofront. In privato, gli esponenti della sinistra si chiedono cosa abbia fatto precipitare la svolta. Anche perchè, raccontano, lunedì mattina il ministro della Difesa Parisi aveva contattato la parlamentare vicentina del Prc Tiziana Valpiana per assicurarle che da Palazzo Chigi sarebbe arrivato un no, ma che al governo serviva «un appiglio», una «forte mobilitazione» contro la base militare delle realtà locali per giustificare con Washington la disdetta dell’impegno. E anche il ministro degli Esteri D’Alema faceva arrivare lo stesso messaggio. Qualcosa dunque è accaduto nelle ultime ore. Il presidente Napolitano ha convocato Prodi al Quirinale per spiegargli che non si potevano tradire i patti con gli alleati. «Napolitano è su tutte le furie con il governo», sussurrano nei ds. E da oltreoceano sono arrivati «segnali molto chiari» al premier, confidano a Palazzo Chigi: l’agognata prima visita ufficiale alla Casa Bianca rischiava di venir rinviata sine die. D’Alema ha capito l’antifona e, dopo settimane di critiche agli Usa e di rassicurazioni al Prc, ha cambiato rotta. Tanto che i ben informati raccontano di un suo scontro con Fassino per l’apertura al referendum. E di una sua pressione su Prodi perchè sciogliesse le riserve.
Anzi, Prodi avrebbe parlato ieri pomeriggio per evitare che a dare la linea del governo fosse D’Alema dagli schermi di Ballarò, dove era ospite ieri. Il premier, anticipando la decisione, ha tolto la patata bollente dal tavolo del Consiglio dei ministri: se come previsto si fosse votato su Vicenza, il governo ne sarebbe uscito spaccato, e i Ds pure, con Mussi contro gli Usa e gli altri ministri incerti sul da farsi. E non sarebbe stato estraneo alla svolta neppure l’editoriale di ieri del Corriere della Sera, che spiegava perchè è sempre Rifondazione a vincere: «Quella di oggi è una sfida profonda, un passaggio molto serio per la maggioranza.

Ora aspettiamo le conseguenze», confidava ieri a un collega il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Letta. Lasciando intendere che, stavolta, a vincere non sarebbe stata la sinistra. Ma che un prezzo da pagare ci sarà.

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