RomaGiornate intense. Giorgio Napolitano vede, sente, legge, risponde al telefono, manda messaggi. E avverte: niente crisi prima della Finanziaria «la cui approvazione è inderogabile». Cè grande attività, ma guai a chiamarla «contatti» e tantomeno «pre-consultazioni»: il capo dello Stato, fanno sapere dal Colle, si limita a «parlare con chi lo cerca». Perciò accoglie la speranza di «concordia per lItalia» che gli manda il Papa di ritorno dalla Spagna, discute con il governatore Luca Zaia dellinondazione del Veneto, scrive alla conferenza sulla famiglia.
Sui problemi del governo invece niente. La spaccatura della maggioranza, dicono al Quirinale, resta ancora «un problema politico e non istituzionale», perciò in questa fase il presidente resta alla finestra. Una posizione ufficializzata da un comunicato diffuso in serata: «Pur non entrando in merito negli scenari evocati, il presidente della Repubblica presta attenzione alle scadenze di impegni inderogabili per il Paese». Tra queste, «la legge di stabilità e di bilancio».
Giornate intense e di «vigile attesa». Dal punto di vista di Napolitano, qualunque ipotesi di crisi e di nuovo governo deve seguire un percorso preciso che prevede un voto di sfiducia da parte delle Camere. Non sono previsti scenari extraparlamentari, ma non è previsto nemmeno un protocollo fisso buono per tutte le occasioni. Ci si può forse basare sui precedenti: se Scalfaro nel 1994 accettò subito le dimissioni di Berlusconi dopo lo sgambetto della Lega, Napolitano nel 2008 rinviò Prodi in Parlamento. Non cè una regola quindi, «dipende dalle motivazioni» e dal contesto. E anche dalla sensibilità del presidente: quello attuale considera la stabilità un valore, soprattutto in un momento come questo.
Presto o tardi, Napolitano potrebbe comunque essere costretto a fare le prime scelte. Potrebbe accadere se e quando il gruppo finiano deciderà di andare avanti, ritirando la delegazione di Fli al governo per passare allappoggio esterno. Che succederà in questo caso? Sarà possibile un semplice rimpasto, come è già accaduto con Scajola e Brancher? O è necessario un passaggio alle Camere? La prima strada è formalmente praticabile, basterebbe ricordare con quale facilità agli inizi degli anni Novanta Giulio Andreotti riuscì a sostituire cinque ministri della sinistra Dc in disaccordo con la sua linea: le dimissioni di uno o più membri del governo non comportano infatti analoghe e automatiche dimissioni del premier. Ma, politicamente, potrebbe essere lo stesso Cavaliere a volersi presentare in Parlamento per far mettere agli atti lappoggio esterno della pattuglia dei futuristi con un voto di fiducia.
Scenari di domani o dopodomani. Ma anche se la crisi non è ancora entrata ufficialmente nellagenda presidenziale, sul Colle è scattato un preallarme. Nei giorni scorsi Napolitano si è dimostrato preoccupato per la piega che stavano prendendo le cose, denunciando «le gravi fibrillazioni» e le «incertezze politiche e istituzionali». E quella parola, «istituzionali», è forse la spia di qualche difficoltà nei rapporti con Fini. Prima del suo discorso di Bastia Umbra, Fini ha correttamente avvertito il Quirinale. Correttezza per correttezza, chissà se Napolitano ha gradito che lattacco al governo sia partito da un presidente della Camera.
Parole che sono suonate stonate rispetto al costante appello al «senso di responsabilità comune» che contrassegna il settennato di Napolitano. Il capo dello Stato ritiene che le turbolenze politiche che segnano i cieli italiani siano un lusso che non ci possiamo permettere, vista la situazione economica interna e internazionale.
Da qui loperazione di puntello in cui è impegnato il capo dello Stato. E se poi la situazione precipiterà e la crisi si sarà, pazienza.
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