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Napolitano: «Ritrovato l’orgoglio nazionale»

«Mai ho sentito di rappresentare tutti gli italiani come oggi. Io non sono capace di saltare come Pertini, ma sono tanto felice. Non tocca a me dire a Lippi di restare»

Riccardo Signori

nostro inviato a Berlino

«L’Italia ha riacquistato il senso dell’orgoglio e dell’identità nazionale. Ho fatto un bagno di aranciata con i giocatori negli spogliatoi, ma non ho chiesto a Lippi di restare: non tocca a me farlo. Io posso solo ringraziarlo per come ha guidato questa squadra. Non sono capace di saltare come Pertini, ma la mia felicità è infinita». Le frasi sono del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ai microfoni di Sky, poco dopo la finalissima di Berlino, ricordando il celebre gesto dell'allora capo dello Stato a Madrid nel 1982. «Proprio non prevedevo - ha aggiunto - di festeggiare i due mesi dalla mia elezione a presidente alla finale della Coppa del mondo. Mai in questi due mesi ho sentito di rappresentare tutti gli italiani come oggi».
«Dov'è Romano?». L'ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, ha incontrato in tribuna d'onore il capo dello Stato italiano, al quale ha chiesto notizie del premier Prodi. Poi, Clinton si è complimentato con Napolitano per la qualità del reparto di difesa degli azzurri.
Con Cannavaro è stata intesa a prima vista. «Gli ho chiesto se è davvero di Fuorigrotta, un quartiere che conosco bene: sono stato deputato». Con Lippi si sono capiti. «Gli ho detto: i suoi ragazzi sono stati straordinari; e lui mi ha bloccato, pensando che non avessi letto quello che aveva dichiarato».
Il mondiale del presidente della Repubblica era cominciato così. Atterraggio poco prima di mezzogiorno a Berlino su un piccolo Falcon da 14 posti («era giusto essere sobri»), eppoi via, verso il campo d’allenamento degli azzurri nella zona ovest di Berlino, non molto distante dall’Olympiastadion. Lo hanno accompagnato alcuni collaboratori, il figlio Giulio, trentacinquenne giurista, uno di casa nello sport, lavora per la camera di conciliazione e arbitrato del Coni, con il pregio (o un difetto, dipende dai punti di vista) di essere tifoso della Lazio. Così tifoso da trascinare di recente il padre all’Olimpico. A conferma che il presidente ha sempre tenuto un occhio sullo sport. Ricordano al Coni che, quando era presidente della Camera, fece un intervento (marzo 1993) nel salone d’Onore del Comitato olimpico per difendere l’autonomia dello sport. Ieri si è presentato come un vecchio ragazzo, pronto alla battuta, scortato dalla ministra Melandri che pareva avviata ad un picnic, ma svelta a scattare dalla sua auto (la quarta del corteo) per affiancare il presidente nel momento in cui c’era da prendere posto di prima fila per foto e strette di mano: Guido Rossi (si danno del tu per antica vicinanza di partito), Riva, Abete, Petrucci, Pagnozzi. Poi Buffon, Nesta, Cannavaro, tutti.
Napolitano è stato la riedizione di un Pertini nuova formula, pallone fra le mani, maglia azzurra numero 10 con il suo nome sventolata ad uso dei fotografi, pure lui amante dello scopone e pronto a smentire fasullaggini. «Vorrei sapere chi ha messo in giro che gioco a brigde. Al massimo scopone e neppure benissimo». Qualcuno, infatti, gli aveva chiesto se avesse voluto tornare con gli azzurri (Pertini style) in caso di vittoria, ma pure in questo caso c’è napoletano e Napolitano, uomo affabile e riservato. Ha preferito dir loro tutto e subito, prima della finale, riconoscente per la bella figura. «Mi sono piaciute le rocce della difesa. Questo magnifico Gattuso, uomo di grinta eccezionale. Un simbolo anche per il Paese. Poi i guizzi finali, tipici dell’estro italiano, che hanno rovesciato le partite negli ultimi minuti». Ha risposto per conto terzi alle provocazioni francesi e tedesche. «Ognuno ha il suo stile, quello italiano è più modesto e può giovare. Non nuocere». Ed ha sostenuto chi vuole aria pulita nel calcio. «Questa è la vittoria del calcio come dovrebbe essere. Poi ci sono i lati oscuri e se ne occupano altri.

Vincere è buon auspicio, perché l’Italia vinca anche in altri campi difficili: quello della competitività e del sostegno del Paese. Quando vanno in campo i colori dell’Italia, c’è sempre un rinnovato sentimento patriottico».
L’augurio telefonico di Prodi: «Presidente sei tutti noi». Poi palla al centro e sofferenza.

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