Nastro di Tulliani: "A Gaucci freghiamo i soldi"

Spunta una registrazione di quando il "cognato" dell’ex capo di An era manager della Viterbese. E riemergono accuse: gestiva giocatori e bilanci con disinvoltura. Intanto anche l'Unità caccia il compagno Fini

Nastro di Tulliani: "A Gaucci freghiamo i soldi"

nostro inviato a Viterbo

Missing. Scomparso. Svanito nel nulla. «Roba da lupara bianca» commentano con sarcasmo i tanti detrattori di Giancarlino nella molto poco mafiosa Tuscia dove nel triennio ’98-2000 dettava legge l’allora ventitreenne vicepresidente della Viterbese Calcio. Proprio così. Giancarlo Tulliani non si trova più. Doveva chiarire, spiegare, precisare, dire, fare, parlare. È sparito. Non ne sa niente nemmeno il Corriere della sera, che di tanto in tanto faceva trapelare virgolettati attribuiti, o attribuibili, al «cognato» di Gianfranco Fini, in fuga dopo aver passato l’estate nell’appartamento monegasco di Rue Princesse Charlotte donato dalla contessa Colleoni ad An che lo rivendette a un quinto del suo valore a una società off shore.

Lo cercano a Montecarlo come nella terra etrusca dove il fratello di Elisabetta venne ribattezzato (Elisa)Betto dagli ultras destrorsi incazzati per quella sua spavalderia da manager londinese nel club di proprietà dell’allora «cognato» Luciano Gaucci, fidanzatissimo di sua sorella Ely. L’ex leader curvarolo Luciano Matteucci l’ha messa giù papale papale: «Non solo faceva la spia, ma Betto si intascava pure i soldi destinati agli ultras. Un giorno del ’99 Gaucci ci disse che ci avrebbe aumentato lo “stipendio” che regolarmente ci veniva corrisposto tramite Tulliani. Ma quando annunciò che da un milione e mezzo passava a due milioni, restammo a bocca aperta e rispondemmo che non volevamo più soldi. Nella sala scese il gelo, e Gaucci che era un gran signore disse: “Ah, sì... mi sono sbagliato. Passerete a un milione”. Avevamo capito che tipo di persone aveva vicino il povero presidente Gaucci?». Vero? Falso? Chi lo sa.

Se Tullianino scappa, a Viterbo arriva a soluzione il giallo del nastro magnetico, azionato furtivamente da un ex direttore sportivo della Viterbese, con sovrimpressa la voce e le imprese del futuro inquilino del Principato. Per capire di cosa si tratti occorre rifarsi a quanto raccontato recentemente al Giornale da Alessandro Gaucci, figlio di Lucianone: «Le persone che avevano a che fare con lui, e che per forza di cose erano “costrette” a lavorarci insieme, non me ne parlavano bene. Mi dicevano che lì, sia lui che il padre, che gestivano la Viterbese calcio prima, e la Sambenedettese calcio poi, non si stavano comportando in modo corretto (...). Per non parlare poi di quel che mi raccontavano i direttori sportivi a proposito sia dei rapporti personali che della gestione economica dei calciatori da parte di Giancarlo. Spiegavo loro che non potevo fare granché perché c’era mio padre di mezzo e la famiglia della sua compagna, e perché per dirgli certe cose avevo bisogno di prove. Di lì a poco un direttore sportivo dell’epoca mi portò un nastro registrato che io non volli ascoltare, per rispetto verso mio padre, a cui poi lo girai. Ero imbarazzato io, figuriamoci lui. Gli dissi soltanto: “Papà, se devi regalare i soldi, fallo pure, ma almeno non te li far fregare”».

Il racconto, diretto, mai smentito, ha fatto faticosamente breccia nella memoria a quel brav’uomo di Ernesto Talarico, ex direttore sportivo della Viterbese, che non potendone più del giovanotto-manager a sua insaputa schiacciò il tasto «rec». Perché lo fece? «Per far capire a Luciano (Gaucci, ndr) chi aveva accanto. Io volevo un bene dell’anima a Luciano ma si vedeva lontano un miglio che qualcuno ne voleva approfittare. Per me è un capitolo chiuso, non ne voglio più parlare di quella registrazione e di quel collaboratore lì, non merita una parola di più, nemmeno mi ricordo che diceva».

A forza di insistere, però, Talarico la parola in più la dice: «Quella bobina io poi l’ho messa dentro una borsa e stranamente poi me l’hanno rubata, tanto che son dovuto andare a denunciare il tutto ai carabinieri. Prima, però, diedi il nastro ad Alessandro, il figlio di Luciano, oppure a Ermanno Pieroni (ex direttore sportivo del Perugia, ndr) perché lui, Tulliani intendo, voleva gestire direttamente i giocatori, voleva interessarsi di tutto lui, si intrometteva nelle trattative coi giocatori e voleva farla lui la trattativa. Magari io ci avrei rimesso di mio ma non ci avrei mai guadagnato una lira, e invece avevo capito che lui si dava da fare perché magari voleva tirar fuori qualcosa per lui. Cercate di capirmi, non mi va di parlarne dei Tulliani...».

Decisamente più loquace Ermanno Pieroni, ex «ds» del Perugia, poi presidente dell’Ancona, svariate disavventure giudiziarie nel curriculum, testimone prezioso del nastro-Tulliani: «Talarico è stato bravo e coraggioso. Visto che Gaucci non credeva a quel che la gente e i suoi figli gli dicevano sui Tulliani, Ernesto ha registrato il nastro e lo ha fatto arrivare al presidente. Ai figli ha detto: “Aho, non è che poi il presidente mi licenzia per questa cosa?”». Detto, fatto: «Di lì a poco l’ha licenziato». Le ragioni di quell’intercettazione casareccia? Antipatia personale, o ben «altro»? «Non gli stava antipatico Giancarlo - insiste Pieroni - è che Tulliani fregava i soldi a Gaucci. E questo Ernesto disse ai due figli, Alessandro e Riccardo, che erano insieme al castello del padre a Torre Alfina. Loro risposero che avevano bisogno di prove, era sotto le feste di Natale. Così lui è andato e l’ha registrato mentre diceva “a quel ciccione, a quel panzone, gli dobbiamo inculare i soldi” (...). Fregava i soldi sui giocatori, sui contratti. Ernesto c’aveva le pressioni di questo che voleva guadagnare sulla pelle di Gaucci...».

Il nastro, rimasto nei cassetti per anni, presto potrebbe rivedere la luce. Chissà se ne è a conoscenza Enzo Di Maio, altro ex ds della Viterbese, che trascinò sotto inchiesta Giancarlo Tulliani per una vicenda (poi archiviata) di sostanze dopanti ai calciatori.

Carolina Morace, prima donna a guidare una squadra maschile, la Viterbese appunto, al Messaggero ha liquidato Giancarlo come «ininfluente». Uno che «non aveva nessuna esperienza di calcio» ma che col calcio, a dar retta al nastro, e ai testimoni, voleva guadagnarci aggirando persino il cognato.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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