Adesso sì che il capolavoro di miopia dei dirigenti Rai è sotto gli occhi di tutti. Ovviamente, di tutti coloro che miopi non sono. L’effetto collaterale, ma ampiamente prevedibile, della serrata dei talk show politici in campagna elettorale in ossequio all’iniqua legge sulla par condicio voluta da Scalfaro e approvata dal governo D’Alema nel Duemila, è stato quello di compattare, sulle ali del vittimismo, tutti i campioni della sinistra televisiva e no. Non era facile, ma incaponendosi si possono ottenere risultati insperati.
Ieri, al Paladozza di Bologna in un colpo solo hanno sfilato tutti i testimonial dell’antagonismo mediatico che ultimamente si erano mossi in ordine sparso: da quello populista alla Santoro a quello più glamour di Lilli Gruber, da quello inflessibilmente giacobino di Travaglio a quello giocoso e stilnovistico di Benigni, da quello livido e riverniciato di satira alla Luttazzi e Vauro, a quello in versione boy-scout di Floris, da quello post-gruppettaro di Lerner a quello repubblicheggiante della Dandini. Un unico grande girotondo della comunicazione. Quasi un nuovo movimento politico, un partito virtuale con un capo riconosciuto in Michelechi? Santoro, bersaglio primo dell’allergia del premier.
Del resto, il conduttore di Annozero, ha anche il fisico del ruolo, somigliando non poco all’Howard Beale interpretato da Peter Finch in Quinto potere, il classico del cinema diretto da Sidney Lumet e premiato con quattro Oscar nel lontano 1976. Qualche giorno fa, ospite della Dandini, di certo consapevolmente, aveva enunciato la filosofia del sedicente evento Raiperunanotte citando proprio Quinto potere. Seduto sull’incoraggiante divano rosso aveva usato sempre il noi maiestatis ribadendo che «non ci rassegneremo alla censura. Ci sono tanti strumenti, c’è il web, ci sono i siti... Soprattutto, nel nostro Paese ci sono tanti che hanno dovuto ingoiare rospi, i precari, i lavoratori, c’è tanta gente che vuole affacciarsi alla finestra per dire “non ne posso più”...». Ecco, ricordate Beale? «Adesso affacciatevi alla finestra tutti quanti e urlate con me “sono incazzato nero e tutto questo non lo sopporterò più”»: il telepredicatore agitava ieratico il pubblico avviando un’escalation che impennava l’audience del suo network, fino al tragico epilogo.
Invece, per ciò che si è visto ieri a Bologna, quello che conta di più è il prologo di un nuovo populismo mediatico che può contare sulla Federazione della stampa, sul sindacato dei giornalisti Rai e su canali tv più o meno militanti. E che ha nella difesa della libertà d’informazione e nella lotta al conflitto d’interessi le sue priorità programmatiche. Un nuovo soggetto civile, insomma, nel quale ha un ruolo di primo piano anche l’antipolitica di Beppe Grillo, capace, solo due giorni fa, di convocare via internet in Piazza Duomo a Milano diecimila persone per seguire il comizio di presentazione dei candidati in Lombardia del movimento Cinque stelle.
Eterogenesi dei fini. Spenti i riflettori della Rai dagli apprendisti stregoni di Viale Mazzini, in questi giorni come in un gioco di specchi, Santoro e soci si sono moltiplicati, imprendibili, su tutte le piattaforme della comunicazione, ribaltando e potenziando l’effetto mediatico della cancellazione dei talk show. Fossero andati avanti regolarmente, non sarebbe accaduto nulla.
Tutto sommato, se ci si pensa un attimo, era quasi ovvio che una vera opposizione all’uomo chiamato Sua Emittenza, nascesse e si articolasse nello stesso sistema televisivo, seppure aggiornato dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Rispetto a qualche anno fa, la capacità di suonare tutti gli strumenti della comunicazione è una delle principali differenze con i girotondi guidati da Nanni Moretti. Per il resto anche il regista del Caimano contestava la classe dirigente della sinistra («Con questi leader non vinceremo mai», urlò in Piazza Navona davanti a Rutelli e Fassino). Così come ora Santoro & Co non hanno fiducia nei vertici del Pd, considerati troppo acquiescenti, forse con la sola eccezione di Di Pietro (ma per quanto?). L’altra differenza sostanziale è che quella di Moretti fu una parentesi, una distrazione temporanea dalla sua professione abituale. Mentre per i Voltinoti della sinistra televisiva, l’antiberlusconismo è un lavoro a tempo pieno, una militanza che parte dalla tv per sfociare nei teatri, nell’editoria, nei blog.
Già, le prossime iniziative... Il girotondo mediatico continua.
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