«Fallita per imposte non pagate». No, non è l’ennesimo cartello appiccicato alla serranda di un negozio. La richiesta di far fallire un’azienda perché non ha pagato l’Imu è del Comune di Rozzano, hinterland milanese, terra di trapper e pendolari. La richiesta è stata avanzata al Tribunale di Milano, seconda sezione civile. Il cattivo pagatore è una srl a Ponte Sesto, che secondo i legali del sindaco deve al Comune 72mila euro e spicci. Colpa di dieci annidi Imposta comunale sugli immobili non pagata, dal 2012 al 2020. Siamo nel 2024 e - in teoria - le cartelle scadono dopo cinque anni. Ma nell’era della riscossione selvaggia a cui l’esecutivo dice di voler fare la guerra, le scadenze sono opinioni incidentali, tanto bastano ingiunzioni notificate nel 2019 per Imu dal 2012 al 2018.
Nella «norma» ci sono le annualità 2019 e 2020 notificate l’anno scorso, sul filo del gong della prescrizione o quasi. È una guerra tra poveri i Comuni sono quasi tutti indebitati, le aziende fiaccate da crisi economica e Covid - quella finita in Tribunale a Milano. Ma raramente si era visto un Comune chiedere la procedura di liquidazione giudiziale per imposte non pagate. Tanto più se, come lamenta l’avvocato della Srl Claudio Defilippi, i ricorsi e i decreti non sarebbero correttamente pervenuti, né tramite Pec (la Posta elettronica certificata, che vale come una raccomandata) né presso la sede legale della società a mezzo di ufficiale giudiziario, con deposito dell’atto nella casa comunale della sede legale risultante dal Registro.
Non è solo una questione burocratica o un’eventuale leggerezza dell’ente riscossore. Secondo una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (la numero 10.012 del 15 aprile 2021) «per il perfezionamento della procedura notificatoria serve la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto», che secondo la società morosa con il Comune non ci sarebbe stato.
«Due ingiunzioni e tre avvisi di accertamento, altro non ha notificato, nessun pignoramento», dice l’imprenditore al Giornale, titolare di una ditta da anni sul territorio.
Quanto poi all’effettiva sussistenza del debito, Defilippi contesta che alcuni non sarebbero dovuti, come quelli dal 2012 al 2017 per la prescrizione quinquennale del tributo e l’assenza di atti che dimostrino l’effettiva e definitiva esigibilità del credito, come già comunicato in commissione tributaria. Tra l’altro, non si può chiedere il fallimento a una società (che ha peraltro aderito alla Rottamazione quater delle cartelle) per debiti inferiori a 500mila euro, a maggior ragione se la società non ha «debiti scaduti da oltre 90 giorni né crediti inesigibili, protesti, sfratti, precetti cambiari, decreti ingiuntivi, revoche di affidamenti bancari, pignoramenti, sequestri, ipoteche giudiziali né volontarie né pegni all’anno 2022/2023.
«Non mi è mai capitato un caso simile», dice al Giornale il tributarista napoletano Mario Gallo, stupito del fatto che il Comune non abbia percorso la strada del pignoramento dei conti. Ci sta che insinuarsi in un fallimento e chiedere di essere ammessi al passivo, con crediti considerati peraltro «privilegiati», ma è un caso rarissimo che sia il regista del fallimento.
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