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Condannati all'impunità

C’è un bambino di cinque anni morto perché un altro bambino di vent’anni giocava a Dio. Correva su un Suv registrando un video per Youtube. E ora c’è Matteo Di Pietro, il bambino grande, che non farà nemmeno un giorno di carcere per aver ucciso Manuel

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C’è un bambino di cinque anni morto perché un altro bambino di vent’anni giocava a Dio. Correva su un Suv a centoventi chilometri orari sulle strade urbane di Casal Palocco a Roma registrando un video per Youtube. E ora c’è Matteo Di Pietro, il bambino grande, che non farà nemmeno un giorno di carcere per aver ucciso Manuel, il bambino piccolo, perché ha patteggiato quattro anni e quattro mesi. Così sembra che non ci sia giustizia e che, peggio, non ci sia pace.

Non per i genitori di Manuel che avevano progettato la vita su di lui, scommettendo sul fatto che sarebbe cresciuto, avrebbe avuto una vita, sarebbe stato felice o forse mediocremente felice ma avrebbe avuto un futuro per giocarsela. Ora hanno una lapide, la certezza che il loro bambino non sarà più niente e i conti da fare col fatto che a questo punto non saranno più nulla neppure loro. Un orrore che puzza di inspiegabile.

C’è poco da girarci attorno e darsi spiegazioni ed è anche abbastanza inutile indignarsi: ciò che è stato deciso ieri è ciò che una serie di leggi e cavilli ricamano sulla complessa trama del diritto ed è qualcosa di già visto fin troppe volte. Se si è in cerca di sollievo, l’unica cosa su cui valga la pena posare lo sguardo sono i genitori di Matteo. Che non sono meno genitori degli altri per il fatto che il loro figlio ha commesso una cosa tanto atroce. Un figlio lo vuoi ferocemente salvo anche quando per gli altri, per tutti gli altri, è un mostro. Ricordi quando si montava pezzo dopo pezzo dentro dite, navigando nel tuo tepore.

Quando sembrava che dipendesse solo da te tutto ciò che di male sarebbe potuto accadergli, una sensazione che in realtà non si perde mai, neppure anni dopo quando chi hai messo al mondo è irrimediabilmente lontano dalle tue viscere e allora, a questo punto, irrimediabilmente lo si può solo amare. Non resta nient’altro. Non è diverso per la mamma di Matteo, nemmeno se suo figlio ha ucciso un bambino.

Questa impunità, che è la condanna di una madre è la colpevole salvezza di un’altra.

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