Guerra dai pm di Bergamo senza informare l'Oms

Dietro l'addio dell'ex Dg della Prevenzione all'Organizzazione mondiale ci sarebbero gli screzi sulle verità rivelate sul Covid ai pm e oggi alla commissione d'inchiesta

Guerra dai pm di Bergamo senza informare l'Oms


Ogni capoverso della sentenza n. 5000 del Tribunale Internazionale del Lavoro di Ginevra (Ilo) anticipata dal Giornale lo scorso agosto e a cui si è appellato l'ex ricercatore Oms di Venezia Francesco Zambon contro l'Organizzazione mondiale della Sanità - è una sferzata alla narrazione ufficiale costruita attorno ai protagonisti della vicenda del rapporto sulla gestione della pandemia "caotica e creativa" pubblicato il 13 maggio 2020 e ritirato ventiquattro ore dopo.

Tutti si ricorderanno che una delle criticità emerse tra il novembre ed il dicembre 2020 vi fu quella della necessità avanzata dalla Procura di Bergamo (che indagava sul mancato aggiornamento del Piano pandemico deln2006) di audire sia l'ex numero due dell'Oms Ranieri Guerra, sia il coordinatore del rapporto dei ricercatori di Venezia. Grazie all'Ilo conosciamo oggi con esattezza come andarono i fatti.

Zambon - che ai giudici di Ginevra fa notare di non essere mai stato informato delle richieste di convocazione della Procura di Bergamo - in realtà è stato convocato tre volte dai pm di Bergamo: la prima volta è stato convocato direttamente il 28 ottobre 2020 per un'audizione fissata il 5 novembre 2020; la seconda e la terza volta è stato convocato tramite canali diplomatici, il 12 novembre 2020 e il 10 dicembre 2020.

La prima convocazione avanzata dalla Procura di Bergamo secondo l'Oms presentava un clamoroso vizio di forma. Tanto che - si legge nella sentenza - "dopo la prima convocazione, l'Organizzazione ha scritto al pubblico ministero di Bergamo e al Ministero degli Affari Esteri italiano, il 3 novembre 2020". L'Oms ha "mantenuto la posizione secondo cui il proprio personale godeva dell'immunità dalla giurisdizione penale nazionale, ha rifiutato di rinunciare a tale immunità e ha richiesto che qualsiasi convocazione del personale Oms fosse effettuata per via diplomatica". Di conseguenza, "le comunicazioni del 3 novembre 2020 hanno garantito protezione dal rischio che i magistrati italiani emettessero una convocazione con obbligo di presenza nei confronti del denunciante".

Le successive due convocazioni effettuate tramite canali diplomatici erano comunque "intese come subordinate a una rinuncia all'immunità e, in assenza di tale rinuncia, non vi era alcun rischio di una convocazione con obbligo di presenza". Nelle pieghe della sentenza i giudici svizzeri non risparmiano neanche una stoccata alla Procura di Bergamo: "Va anche rilevato che l'Oms afferma nella sua risposta, senza essere contraddetta dal ricorrente (Zambon, ndr), che le autorità italiane avevano anche la possibilità di richiedere una deroga all'immunità, ma non lo hanno mai fatto".

Sta di fatto, continua la sentenza che ha condannato l'Oms a risarcire Zambon, "che i privilegi e le immunità sono conferiti al personale nell'interesse dell'organizzazione" e, quindi, "il rifiuto dell'Organizzazione di rinunciare all'immunità rientra nella sua discrezionalità". Da quanto emerge dalla sentenza, Zambon riteneva che la mancata revoca dell'immunità fosse un atto di ritorsione dell'Oms ei suoi confronti. Ma per il tribunale internazionale del Lavoro non è affatto così: "Un tale rifiuto non può di per sé essere interpretato come un atto di ritorsione, anche considerando che l'immunità è volta alla protezione del personale, a meno che non vi siano prove specifiche in tal senso"; e nel caso di specie "non vi sono tali prove". Inoltre, l'Oms, nelle sue comunicazioni del 3 novembre 2020 indirizzate alla Procura di Bergamo e alla Farnesina "ha invocato l'immunità dalla giurisdizione nazionale non solo per il ricorrente, ma anche per tutti i co-autori del rapporto sul Covid".

È a questo punto che la sentenza racconta l'ennesimo colpo di scena. Rispetto alle richieste di convocazione a sommarie informazioni avanzate dalla Procura di Bergamo, Zambon avrebbe lamentato una disparità di trattamento riservatagli dall'Oos rispetto all'ex numero due Ranieri Guerra. Ma ecco la verità: "Non vi è neppure prova di un trattamento diseguale tra il ricorrente, la cui immunità non è stata revocata dall'OMS, e il sig. Guerra, anch'egli convocato e interrogato dal pm". Non solo. "Nella sua risposta, l'Oms ostiene che il sig. Guerra non ha mai richiesto l'autorizzazione Oms per essere interrogato a Bergamo". Un interrogatorio che avvenne proprio il 5 novembre 2020. Anzi, "l'autorizzazione di viaggio fornita dall'Oms per il viaggio del sig. Guerra a Bergamo era limitata alla visita dell'ospedale di Bergamo nel quadro della risposta al Covid-19". Dunque, specifica la sentenza "qualsiasi dichiarazione resa dal sig. Guerra al pm durante questa visita ufficiale non era stata approvata dall'Oms, è stata resa senza la preventiva conoscenza dell'Organizzazione ed è stata resa a titolo personale".
Tale circostanza l'Oom l'ha chiarita anche ai pm di Bergamo, spiega sempre l'Ilo, specificando "che il sig. Guerra si era presentato a titolo personale e senza autorizzazione a parlare per conto dell'Oms o in merito a questioni riguardanti l'Oms". Si tratta dello stesso atteggiamento che Ranieri Guerra ha tenuto pochi mesi fa con la sua convocazione in commissione Covid (ancora secretata), nonostante il veto impostogli il giorno prima proprio dall'Oms. Un veto percepito come un’intimidazione sia dal presidente della commissione Covid, Marco Lisei, che dal capogruppo Fdi in commissione Alice Buonguerrieri, che dai rispettivi capigruppo Fdi alla Camera ed al Senato, Galeazzo Bignami e Lucio Malan.

Nessun complotto, dunque, ordito alle spalle di Zambon, che in ogni caso, il 15 dicembre 2020 "è stato ascoltato a titolo personale dal pm italiano". Ma c'è di peggio. Come spiega una fonte bene informata al Giornale, sarebbe stata proprio l'iniziativa di Guerra di farsi sentire dai magistrati di Bergamo senza informare l'Oms a costargli il mancato rinnovo del mandato quale direttore aggiunto: "Gli hanno semplicemente tolto ufficio, budget e personale. Hanno atteso che se ne andasse senza salutarlo".

All'agenzia di stampa Agi, che per prima aveva dato notizia della conclusione del rapporto, Guerra aveva dichiarato di avere sì lasciato l'Oms ma che si trattava di una decisione "concordata": "Qualcuno potrebbe vederla come una 'cacciata' dall'organizzazione, ma è una menzogna".

Sempre all'Agi un'altra fonte "vicina a Guerra" raccontava invece una versione un po' diversa ed in linea con quanto riportata al Giornale: "Dipende dal fatto che la sua reputazione internazionale è stata ingiustamente intaccata dall'inchiesta e da una certa campagna stampa. Arrivato a fine mandato, le opportunità che avrebbe potuto cogliere all'Oms o in altri contesti internazionali non si sono potute cogliere".

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