Lamorgese con i pm in difesa di Conte: "Militari ad Alzano? Lui non lo sapeva"

L'allora ministro dell'Interno: "Prima del 6 marzo già fatte le verifiche sul campo"

Lamorgese con i pm in difesa di Conte: "Militari ad Alzano? Lui non lo sapeva"

Tre anni fa esatti a quest’ora. Gli ospedali di Bergamo sono agonizzanti. I casi di Covid sono 5.061 (di cui 3.420 solo in Lombardia), è appena terminata la riunione fiume della Protezione civile e del Cts in cui ci si tormenta sul «zona rossa sì o zona rossa no» ad Alzano e Nembro. Mentre si tentenna, l’8 marzo - con i contagi saliti a 7.375 di cui 4.189 in Lombardia - il governo elabora una nuova bozza di decreto e scatta la zona arancione per Regione Lombardia e altre 14 province.

Siamo alla vigilia del lockdown, che comincia il 9 marzo.

Ma la zona rossa per Alzano e Nembro non arriva. E nonostante il premier Giuseppe Conte abbia riferito ai pm della necessità di «intervenire con misure drastiche» nella Bergamasca, non traduce in decisione la sua preoccupazione. Dando il tempo al virus di devastare la zona. Non solo, a quanto riferisce Giovanni Rezza, direttore Prevenzione del ministero della Salute ed ex direttore Malattie infettive dell’Iss, sentito come teste a giugno 2020, «mi sembrava che il presidente del Consiglio non fosse convinto e avesse bisogno di un forte supporto per convincersi della opportunità di istituire la zona rossa. Io uscii da quella riunione (del 6 marzo, ndr) con l’idea che ci fosse indecisione. La mia fissazione restava la necessità di una zona rossa a Nembro e Alzano». La sera del 6 marzo è tutto pronto per «cinturare» i comuni più colpiti e tentare di circoscrivere i contagi. La polizia chiede 24-30 ore di tempo per mettere in atto il piano e isolare l’area. Ma il via libera di Conte non arriva, annacquato poi dal decreto sulla zona arancione. A confermarlo è il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, che riferisce: «Il capo della Polizia programmò un sopralluogo organizzativo, per rendersi conto di come fosse la situazione e del numero di persone necessarie.

Conte non sapeva, il fine era di natura preventiva e ricognitiva. Tutte le disposizioni di cui sto parlando, formulate da parte mia non sono cristallizzate in provvedimenti formali: si è trattato di disposizioni orali». E orali restano. La firma per ufficializzarle non arriva.

«A quel punto abbiamo ritirato gli uomini».

Si temporeggia, intanto i decessi si avvicinano pericolosamente a quota 400. «Credo che l’1 o il 2 marzo Locatelli, unitamente a Brusaferro, già avevano anticipato la situazione epidemiologica di Alzano Lombardo e Nembro - riferiscono i verbali della testimonianza di Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero della Salute - Locatelli evidenziava in particolare l’esigenza di attenzionare la zona di Bergamo per il numero dei casi significativo che si stava registrando nei comuni vicini». E a quanto pare anche il sindaco di Alzano, Camillo Bertocchi, dà la zona rossa per fatta: «Non l’ho chiesta io, ma ero convinto scattasse dal 3 marzo». «Non sono in grado di dire perché il governo non abbia poi adottato questa decisione, pur attesa; ho trovato seguito l’istituzione della zona rossa» riferisce anche l’assessore al Welfare lombardo Giulio Gallera, sentito dagli inquirenti quattro mesi dopo. L’ex presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti invece ammette di avere chiesto alla Regione di non fare la zona rossa, ma di limitare le chiusure solo alle aziende non essenziali.

Agli atti anche le dichiarazioni di Walter Ricciardi, all’epoca consigliere dell’allora ministro Roberto Speranza. È uno dei sostenitori della linea dura fin dall’inizio, fin dalla partita Atalanta-Valencia giocata a San Siro il 19 febbraio. «Ma all’estero pensavano stessimo esagerando» riferisce.

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