Lockdown deciso dopo la riunione segreta: anche Miozzo ne era all'oscuro

Anche il coordinatore Cts smentisce al Giornale la versione in commissione Covid di Richeldi: "Mai saputo di riunioni informali, quelle del Cts hanno tutte un verbale, ho fornito tutto ai pm di Bergamo" che l'avevano ingiustamente indagato

Lockdown deciso dopo la riunione segreta: anche Miozzo ne era all'oscuro

«Mai saputo nulla di questa riunione, ascolterò la sua audizione». Anche l’ex coordinatore del Cts Agostino Miozzo al «Giornale» confuta la ricostruzione sulla genesi del lockdown nazionale del 2020 fatta alla commissione Covid da suo ex collega, lo pneumologo Luca Richeldi, secondo cui la scelta venne presa dopo un incontro informale con il premier Giuseppe Conte.

Miozzo conferma infatti solo la riunione informale ad inizio marzo – chiesta da Conte – sul lockdown relativo ad Alzano e Nembro di cui la sua segretaria aveva preso una bozza di appunti che lo stesso Miozzo ha consegnato prontamente ai pm di Bergamo, che lo avevano ingiustamente accusato di epidemia colposa. «Non si tratta di un verbale codificato – spiega Miozzo – ovvero firmato, letto e riletto. Erano degli appunti fatti da una segretaria». Nella riunione di cui è al corrente Miozzo non si parla di lockdown nazionale, che è arrivato il 9 di marzo. «La riunione del 7 marzo – in cui il Cts raccomanda la chiusura della Lombardia e di altre 14 province - ha un verbale codificato di quelli del Cts firmato da me e mandato come di routine come Cts al ministro della Salute. Non so a cosa si riferisca Richeldi perché non esistono robe informali, con verbali non formali del Comitato tecnico scientifico. Non ne ho mai sentito parlare di questa roba qua. Non so dire di che cosa si tratta. Non ho memoria di questa cosa».

La verità che comincia a emergere tra verbali desecretati e audizioni incrociate non torna neanche al professor Giovanni Rezza, ex direttore del dipartimento malattie infettive dell’Iss, che durante la sua audizione dello scorso aprile e recentemente desecretata proprio sul lockdown nazionale alzò il sipario su una realtà che ribalta la narrazione ufficiale: «I tecnici danno i loro suggerimenti e le loro indicazioni, poi è legittimo che la politica decida per un intervento piuttosto che un altro».

Richeldi, nella sua audizione, aveva dichiarato che era stato proprio il Cts a chiedere a Conte che venisse dichiarato il lockdown nazionale del 9 marzo 2020. Un’affermazione ripetuta e rivendicata più volte proprio nel corso dell’audizione e che ha fatto insospettire sia il presidente Fdi della commissione, Marco Lisei sia la senatrice meloniana Antonella Zedda. Sospetti che hanno messo alle strette Richeldi, tanto da fargli ammettere che la decisione di istituire il lockdown nazionale fu presa in una riunione informale del Cts alla presenza dell’allora premier Conte e altri due ministri. Una riunione di cui, agli atti, non risulta alcun verbale.

Sappiamo che allora fu la Regione Lombardia, sulla base dei dati che aveva appena immesso, all'inizio di marzo – le criticità nella Regione e soprattutto nella Bergamasca. Rezza avrebbe «scandagliato i dati, con al telefono Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler, Comune per Comune della Lombardia, e l’incidenza più alta si registrava in questi due paesi della Val Seriana, Alzano e Nembro, e in altri casi sporadici - anche in un paese della Bresciana - però lontani dai capoluoghi di Provincia», aveva detto ancora lo pneumologo.

«Le Regioni colpite erano Lombardia, il Nord-Ovest dell’Emilia (Piacenza), la Romagna (Rimini), il Nord delle Marche e parte del Veneto (non solo Vo’, ma anche focolai vicino a Mestre e Venezia, da quello che ricordo», aggiuge Rezza. «Si disse (credo di interpretare il pensiero di chi doveva prendere decisioni di carattere politico): se chiudiamo anche là, forse solo là, piuttosto che applicare la zona rossa solo a un’area, estendo il lockdown prima a livello regionale e dopo a livello nazionale», che sempre secondo Rezza fu deciso sulla base di dati escludevano emergenze Covid in sedici regioni. Una discrepanza enorme, che oggi pesa come un macigno sulle ricostruzioni ufficiali. Il sospetto – sempre più fondato – è che, in assenza di veri dati epidemiologici di supporto, la storia sia stata riscritta a tavolino.

Durante l’audizione di Richeldi, la Zedda aveva citato due fonti insospettabili: l’ex portavoce di Speranza, Nicola Del Duce, e i due giornalisti di Repubblica Marco Mesurati e Fabio Tonacci. Nei loro libri, tutti concordano su un punto: il lockdown nazionale non fu figlio della scienza. «È stato deciso – scrivono – dopo le immagini della fuga da Milano», quando la bozza del decreto di chiusura della Lombardia e di altre 14 province, venne fatta filtrare ai giornali e migliaia di persone si riversarono sui treni in partenza da Milano in piena notte.

Chi da Roma divulgò quella bozza? Poteva essere stata prodotta solo negli uffici della presidenza del Consiglio dei ministri, quindi? Richeldi si è trincerato dietro una risposta imbarazzata: «Non è stata fatta nessuna indagine, davo per scontato che nessuno di noi lo avesse fatto».

E se davvero la serrata più dura della Repubblica nacque non dalla scienza ma da una soffiata di qualche ufficio romano, la domanda di Zedda resta sospesa come una lama: chi aveva interesse a far trapelare quella bozza da Roma? E soprattutto, perché?

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica