Il piano per riaprire le miniere d'Italia

Sedici delle 34 "materie prime critiche" individuate dalla Ue sono nel nostro sottosuolo

Il piano per riaprire le miniere d'Italia
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Sganciarsi dalla dipendenza cinese nella produzione e nella trasformazione di materie prime critiche. Un’urgenza, ora che «esiste un rischio elevato di approvvigionamento», avverte il ministro delle Imprese, Adolfo Urso. In audizione in commissione Industria al Senato spiega che quelle materie critiche, non energetiche e non agricole, sono «indispensabili per i prodotti strategici». Le rinnovabili, il digitale, il comparto spazio e difesa, la sanità. Ma per molte di queste materie «l’Ue dipende quasi esclusivamente dalle importazioni». Ne acquista il 97% dalla Cina, perché le terre rare pesanti sono raffinate esclusivamente lì.

Per esempio, il 63% del cobalto mondiale è estratto in Congo e il 60% è raffinato in Cina. «I rischi cui siamo esposti sono evidenti», aggiunge Urso. Il fabbisogno è destinato «ad aumentare in modo esponenziale» perché legato «allo sviluppo e diffusione alle tecnologie necessarie per gli obiettivi di decarbonizzazione».

Il governo ha mappato le materie prime critiche in Italia: «Ne possediamo 16 su 34 di quelle indicate dall’Ue». Parliamo di cobalto, nichel, litio. Ma ci sono anche «rifiuti minerari abbondanti», che servono per le batterie elettriche e pannelli solari. Ci sono, ma «si trovano in miniere chiuse oltre 30 anni fa per il loro impatto ambientale e per la mancanza di margini di guadagno. Occorre investire e riattivare queste potenzialità. La proposta di regolamento comunitario ci chiede di riaprire le miniere e di compiere uno sforzo in termini di recupero e di investimento in capacità tecnologica: è una sfida ma anche una grande opportunità». Il regolamento proposto da Bruxelles punta ad arrivare al 2030 senza dipendere, per ciascuna materia prima strategica, da un singolo paese terzo per oltre il 65% del proprio consumo annuale. Riaprire le miniere italiane dunque? Una prospettiva che si scontra con il muro dell’impatto ambientale. In Liguria, terra di titanio - qui si trova uno dei maggiori giacimenti italiani - un anno fa la sentenza del Tar ha confermato il divieto di effettuare ricerche minerarie nell’area del Parco del Beigua, dopo i ricorsi delle associazioni ambientaliste.

L’Ispra ha mappato 3.016 siti estrattivi in Italia. Il Piemonte - si legge in un rapporto presentato alla Camera - è ricco di cobalto e nickel, la Lombardia di zinco, piombo e argento, mentre vicino a Roma è stata verificata la presenza di litio.

L’istituto certifica la presenza di terre rare «in diverse località italiane, nella fascia tirrenica laziale, nell’arco alpino, in Sardegna. Sono presenti inoltre molti rifiuti estrattivi, che possono rappresentare un potenziale nuovo deposito di risorse critiche e non critiche da riutilizzare in un’ottica circolare».

La commissione europea, ha riferito il ministro, stima che al 2050 la domanda annua di litio per batterie - per la mobilità - potrebbe aumentare di 89 volte. L’Europa ne estrae solo l’1% del totale globale. Di fronte al previsto aumento di domanda, Urso spiega che nell’approvvigionamento delle materie prime critiche «siamo come negli anni della corsa all’oro» visto che la maggior parte di queste è importata dall’estero. Ancora la Cina da sola «garantisce attualmente il 49% del fabbisogno totale effettivo di materie prime critiche globali». Secondo le stime della commissione, «la domanda di terre rare crescerà di 67 volte entro il 2050 - ricorda il ministro - Quella di gallio, uno degli elementi che assieme al germanio, sono stati sottoposti a misure selettive di controllo dell’esportazione da parte cinese, utilizzato per la fabbricazione di semiconduttori, crescerà di 17 volte entro 2050».

Il dossier sulla dipendenza cinese sarà sul tavolo di un vertice Italia, Francia e Germania il 30 ottobre a Roma sulla tecnologia digitale, a cui ne seguirà un altro in Francia sulle tecnologie green. Un primo incontro c’è già stato a giugno in Germania.

I tre Paesi hanno preso impegni per obiettivi comuni di estrazione, lavorazione e riciclaggio per le materie prime strategiche. Si ragiona anche di poter utilizzare il fondo strategico istituito col ddl Made in Italy, che ha una dotazione iniziale di un miliardo di euro.

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