Unassociazione di stampo mafioso che, anche senza fare uso di armi, usava la sua forza intimidatrice per mettere le mani sugli appalti pubblici nei comuni a sud di Milano: questa è la fotografia che la sentenza pronunciata ieri dal tribunale di Milano fa degli esponenti delle famiglie Barbaro e Papalia arrestati due anni fa . La settima sezione del tribunale - presieduta da Aurelio Barazzetta - ridimensiona solo in piccola parte limpianto accusatorio portato in aula dal pm Alessandra Dolci. Viene esclusa laggravante delle armi, e cade laccusa relativa ad una estorsione che i giudici ritengono non provata. Ma per il resto fioccano le condanne: la più pesante i nove anni inflitti a Salvatore Barbaro, genero di Rocco Papalia (ovvero di uno dei nomi storici della colonia di Platì a Milano, che oggi sconta lergastolo in un carcere sardo). Insieme a Rosario Barbaro, a suo padre e a suo fratello viene condannato per concorso in associazione mafiosa anche lunico imputato lombardo: Maurizio Luraghi, imprenditore, accusato di avere fatto da prestanome per i Barbaro.
La retata che portò in carcere la seconda generazione dei Barbaro-Papalia ha costituito lantipasto di una nuova ondata di inchieste sulla penetrazione della malavita organizzata nellimprenditoria milanese. Sullo stesso ambiente si sono abbattute altre inchieste, come quella che ha portato sotto accusa gli ex sindaci di Trezzano Tiziano Butturini e Liana Scundi.
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