'Ndrangheta, le cosche negli appalti: 33 fermi

Eseguiti nel Reggino 33 fermi per associazione mafiosa. Le cosche avevano costituito un "cartello" per regolare, anche grazie alla collusione di personaggi, il controllo delle attività imprenditoriali relative all’esecuzione di importanti opere pubbliche. Arrestati due consiglieri comunali

'Ndrangheta, le cosche negli appalti: 33 fermi

Reggio Calabria - I carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria, con il supporto dei "Cacciatori" e di unità cinofile del gruppo operativo Calabria di Vibo Valentia, hanno eseguito 33 provvedimenti di fermo emessi dalla procura distrettuale antimafia della città dello Stretto a carico di altrettanti indagati di associazione mafiosa e armata, finalizzata alla sparizione ed alla gestione di appalti pubblici, all’infiltrazione nella pubblica amministrazione locale e regionale, al procacciamento di voti. L’operazione riguarda persone residenti nel tratto di provincia reggina compresa tra Bova Maria ed Africo Nuovo.

Le persone fermate Le persone fermate fanno parte delle cosche che fanno capo alle famiglie Morabito - Bruzzaniti - Palamara, Maisano, Vadalà, Talia, attive nella fascia jonica della provincia. Le misure restrittive costituiscono un’ulteriore fase di un’articolata attività investigativa condotta dai carabinieri di Reggio Calabria sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia e denominata "Bello lavoro", che nello scorso mese di febbraio aveva portato al sequestro preventivo di sette cantieri (ed al sequestro probatorio degli uffici delle imprese operanti) allestiti per la realizzazione della "variante di Palazzi", opera che rientra nei lavori di ammodernamento della Ss 106 Jonica nella cui realizzazione erano state riscontrate difformità, potenzialmente incidenti sulla tenuta strutturale dei manufatti, tra i materiali impiegati e quelli previsti dai protocolli di settore.

Arrestati due consiglieri comunali Due consiglieri di maggioranza ai comuni di Bova Marina e Samo figurano tra le persone sottoposte a fermo dai carabinieri. Si tratta di Sebastiano Altomonte, di 54 anni, sindacalista, consigliere di maggioranza del comune di Bova Marina, espressione di una lista civica, e Giuseppe Natale Strati (48), imprenditore, consigliere di maggioranza del comune di Samo, di una lista di centro. Nell’elenco dei fermati ci sono anche numerosi imprenditori, operai e due dipendenti comunali.

Un cartello per regolare gli appalti pubblici Le cosche della ’ndrangheta avevano costituito un vero e proprio "cartello" per regolare, anche grazie alla collusione di alcuni personaggi politici ed esponenti delle istituzioni, la spartizione della gestione o comunque il controllo delle attività imprenditoriali relative all’esecuzione di importanti opere pubbliche: dalla "variante di Palazzi", compresa nel programma delle "grandi opere", alla costruzione di un plesso scolastico (l’Istituto Superiore comprensivo "Euclide" di Bova), appaltata dalla Provincia di Reggio Calabria e andata subaffidata alla ditta collegata al boss Giuseppe Morabito (conosciuto come "Tiradritto") a seguito di accordi che le forze dell’ordine ritengono siano stati presi in un summit tenutosi tra i più autorevoli rappresentanti delle cosche della ’ndrangheta dell’area jonica.

La spartizione dei proventi Ulteriore elemento scoperto dai carabinieri è dunque il nuovo assetto delle consorterie criminali che hanno trovato un vero e proprio accordo per la spartizione dei proventi degli appalti pubblici, al punto da creare nuovi organismi direttivi a tutti gli effetti con le rappresentanze delle famiglie mafiose. Significativa l’assenza di danneggiamenti o atti intimidatori nell’area controllata dalle famiglie in totale accordo. Secondo gli inquirenti, infatti, gli episodi intimidatori avvengono nelle zone dove le consorterie sono in contrasto tra loro.

L'estromissione di appaltatori estranei Secondo quanto emerso dalle indagini dei carabinieri, il modus operandi delle cosche si è evoluto nella conduzione di vere e proprie imprese che hanno una parvenza di liceità attraverso le quali ottenere l’assegnazione di alcune funzioni tra le più redditizie, quali ad esempio la fornitura del calcestruzzo preconfezionato. Le cosche operano poi al fine di estromettere completamente soggetti appaltatori estranei mediante l’imposizione di subappalti oppure noli, costringendoli a sottoscrivere lucrosi contratti di fornitura per il movimento terra, approvvigionamento e trasporto di inerti. La qualità dell’opera non risulta mai come richiesto dai progetti ma sempre molto inferiore, al punto da minarne la stabilità nel tempo. Per massimizzare il profitto e contenere i costi, infatti, è pratica comune emettere fatture molto più alte rispetto al reale valore dei materiali utilizzati per realizzare l’opera.

Infine, un altro aspetto che i carabinieri nelle indagini hanno accertato è che la gestione della manodopera viene utilizzata per creare una sorta di "consenso ambientale" e serve a mantenere un utile serbatoio di capitale umano che può servire ad ogni livello nel tessuto sociale, imprenditoriale, politico ed amministrativo.

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