Caro Granzotto, le scrivo a proposito di un fatto che mi ha molto colpito, successo in Belgio. Lì due storici negazionisti dellOlocausto sono stati condannati a un anno di carcere a causa delle loro opinioni, considerate errate. Lei non trova assurdo che, nella ricerca storica, debba esistere il reato di interpretazione controcorrente dei fatti? Non trova che la situazione sia ancor più grave se capitata nel mondo occidentale, teoricamente libero e aperto di vedute?
Io penso, caro Chinnici, io credo, anzi, che nessuna giusta causa (le vie dellinferno sono lastricate di buone intenzioni) possa legittimare limposizione di una verità di Stato, strumento che ha sempre contrassegnato il regime autoritario, le dittature e le tirannie.
Francia e Belgio, dove è in vigore il reato di negazionismo (lItalia se l'è cavata per un soffio: Mastella e Prodi stavano per introdurlo, prima che un piemme di Santa Maria Capua Vetere facesse cadere il governo), non sono ovviamente delle dittature. Ma è rigorosamente dispotica la legge che criminalizza il pensiero negazionista. Poco conta l'aver precisato che il negazionismo si riferiva solo alla realtà della Shoah. E che dunque, per quel che concerne il passato storico, nessun'altra verità sarebbe stata promulgata a norma di legge (impegno peraltro subito smentito allargando il negazionismo al genocidio armeno). Anche così circoscritto, il provvedimento resta scellerato e lascia trasparire la propensione, tutta giacobina, di ritenere la libertà di pensiero un arbitrio che finirebbe per corrompere quellinclinazione al bene connaturata nella collettività costituita da «buoni selvaggi» e, di conseguenza, a sovvertire lordine sociale e politico.
Non sto a elencare tutte le magne carte - a cominciare dalla Costituzione italiana, articolo 21, per finire alla Dichiarazione dei diritti delluomo, articolo 12 - che pongono la libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e qualsivoglia altro strumento della comunicazione, in cima ai diritti del cittadino. Affermazione che esclude ciò che hanno invece arzigogolato i francesi e i belgi, cioè che della libertà di espressione si possa fare un uso «buono» e un uso «cattivo». E che quello «cattivo» vada condannato. Col carcere, visto che il rogo non è più di moda. Possono, eccome, essere espressi pensieri stolti, possono anche essere espresse idee e considerazioni che indignano.
Ma è follia, follia giacobina, insisto, inaridirne la fonte mettendo le mordacchie. Oltre tutto non servono.
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