«Quando uscivo di casa alla mattina sul portone del palazzo mi guardavo intorno prima di entrare in strada. Volevo essere pronto moralmente e spiritualmente a un eventuale attentato». L'ansia sale e il ricordo per nulla scalfito dal tempo rende il racconto intriso di emozione. E Tullio Mazzolino non si risparmia. O meglio non risparmia analisi e confronti di quegli anni di tensione e timore. Perché, l'ex assessore ai Trasporti a Palazzo Tursi ed esponente di spicco della Democrazia cristiana in Liguria, questa volta ha voglia di raccontare degli anni di piombo; dei suoi anni di piombo, vissuti direttamente come possibile bersaglio dei terroristi. «La buona sorte comunque mi risparmiò, forse non ero un obiettivo interessante, chi lo sa» esordisce subito. Ancora una volta il suo viaggio nella memoria parte lontano: «16 marzo del 1978. Ero a casa a seguito di una noiosa influenza che durava da tre giorni. Sulla via della guarigione accesi la radio per sentire le ultime notizie. Captai la diretta di un'intervista dell'onorevole Giorgio La Malfa, che nell'aula del Parlamento faceva dichiarazioni alla stampa. La sua voce, rotta dall'emozione, affermava che bisognava prendere dei provvedimenti duri contro le Brigate Rosse, perché quello che avevano fatto era vergognoso. Un attacco diretto allo Stato. Fu soltanto allora che capii che avevano rapito l'onorevole Aldo Moro e ucciso barbaramente la sua scorta. Un colpo per me e per tutti noi politici. La stessa attività del partito si paralizzò». Una testimonianza quella dell'ex assessore che corre veloce sui binari della storia di quegli anni senza dimenticare il suo ruolo politico: «avevo assunto da poco la carica di responsabile propaganda del partito durante la segreteria provinciale guidata da Gian Carlo Piombino. Predisposi allora un piano di lavoro che però fu subito accantonato in attesa dell'evolversi degli eventi. Ricordo - continua Mazzolino - che l'azione delle Brigate Rosse iniziò a Genova con il sequestro del giudice Mario Sossi, a cui successe l'omicidio del procuratore Francesco Coco unitamente alla sua scorta, cui seguirono numerosi attentati a esponenti della Dc genovese: Fausto Cuocolo, Gian Carlo Dagnino, Enrico Ghio, Angelo Sibilla e Filippo Peschiera, il dottor Castellano dell'area di sinistra, oltre ad azioni minori quali bruciare l'auto di esponenti politici. L'azione delle Br culminò con l'uccisione di Guido Rossa, il sindacalista della Cgil dipendente dell'Ansaldo ed esponente del Pci». Ricordi personali che incrociano le vicende di alcuni colleghi di partito, e che ancora oggi, interrogano l'ex assessore: «Un mio amico consigliere provinciale della Dc dal carattere forte, era un militare negli Alpini, usciva di casa alla mattina con la pistola colpo in canna, non in vista, pronto a rispondere a un eventuale attentato. Consideravo il fatto un errore e glielo dissi, perché ero e sono contro la violenza. Pensavo infatti che una sparatoria potesse avere sviluppi negativi. Mi sono sempre posto il problema - aggiunge - perché giovani culturalmente preparati, provenienti da aree diverse tra cui quella cattolica oltre alla sinistra, avevano scelto il confronto armato invece che la dialettica politica e il confronto elettorale. Certamente il sistema politico bloccato di quegli anni, come pure le mancate riforme del centro sinistra, governato dalle correnti Dc dorotea-morotea avevano creato delle illusioni, delle aspettative nei giovani che chiedevano riforme, come è giusto per ogni nuova generazione. Probabilmente pesarono anche altri aspetti politici: i servizi segreti diversi deviati, e non, si erano inseriti nel fenomeno, che all'inizio era principalmente ideologico e usava la pressione psicologica come principale arma di lotta, facendo poi passare il movimento alla lotta armata». Una rievocazione dei fatti che sposa ancora testimonianze precise e interrogativi non risolti: «Ho conosciuto da giovane i fratelli Fenzi. La loro famiglia, profughi giuliani, era di sinistra, molto critica nei confronti delle ingiustizie della società, ma svolgeva una vita tranquilla e onesta. Uno dei fratelli dipingeva, un animo d'artista osservato con attenzione dai fratelli. Mai avrei pensato che uno di loro sarebbe passato alla lotta armata; mi domando quali meccanismi possano essersi innescati. Anche la forza pubblica pagò duramente la sua lotta all'azione armata con numerose vittime - prosegue Mazzolino -. Gli attentati alle sezioni di partito avevano creato un clima pesante. Nella sede provinciale della Dc in via Caffaro erano sempre presenti due agenti armati dell'antiterrorismo». Ma la voglia di riferire fatti e personaggi di quegli anni è troppo forte e molto dettagliata: «Voglio ricordare ancora due episodi legati alla sezione della Dc di Oregina. Quando la sezione teneva assemblee pubbliche, la Questura inviava sempre un agente della Digos a protezione della manifestazione. Al termine di un incontro accadde che il poliziotto, salito in macchina riuscì a metterla in moto e a farla partire solo grazie alla spinta del segretario della sezione e dei suoi collaboratori. Ricordo inoltre che in occasione delle elezioni del Parlamento Europeo il segretario della Dc di Oregina durante il periodo della votazione, al fine di evitare possibili attentati alla sezione, decise di trasferire l'organizzazione in un suo appartamento vuoto dove si svolse l'attività di supporto ai rappresentanti di lista e scrutatori democristiani nei seggi. C'era un continuo via vai di persone. La cosa curiosa fu che l'appartamento era ubicato in via Fracchia al secondo piano nell'edificio dove poi fu individuato, al piano terra, un covo delle Brigate Rosse con la nota sparatoria e morti». Un'ultima osservazione, che passa attraverso anche un'analisi storica, conclude l'ampio racconto di Mazzolino: «Curcio e sua moglie Cagol studenti della facoltà di scienze sociali a Trento si sposarono nel Santuario di San Romedio in Val di Non. Conosco bene il santuario e capisco la particolare atmosfera mistica e in un certo senso di intransigenza ideologica che può avere influito sulle scelte della giovane coppia. Il santuario ha una sua originalità, comprende infatti tre chiese costruite una sull'altra. La presenza di un orso in una gabbia ricorda l'episodio di San Romedio che ammansì l'orso violento. Ma il fatto più interessante è quella targa che rievoca un episodio della lotta dei tirolesi contro le truppe napoleoniche. Durante la seconda campagna d'Italia. Il Tirolo non accettava l'invasione dei francesi e iniziò una guerriglia contro il nemico guidata da Andra Hofer. La targa testimonia il pellegrinaggio che Hofer e i suoi seguaci fecero al santuario.
Fu in quella occasione che prestarono giuramento di lotta senza quartiere fino alla morte contro i francesi. Secondo il mio modesto parere, quest'atmosfera può avere contribuito alla decisone di combattere con ogni mezzo le ingiustizie che si manifestavano allora nella società italiana arrivando poi anche alla lotta armata».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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