Politica

Nei covi di Al Qaida foto satellitari e piani per colpire Roma

I documenti sono stati recuperati in Irak dai servizi segreti americani

Andrea Nativi

Roma è un bersaglio per il terrorismo internazionale? Certamente la capitale è nel mirino da anni e in conseguenza le difese approntate sono, nel contesto nazionale, decisamente robuste, stratificate e ridondanti. E a mano a mano che aumenta l'esperienza, il know-how, le risorse e le capacità si effettuano gli aggiustamenti del caso, tenendo conto dei risultati di una analisi incrociata e della verifica di attendibilità che viene dedicata ad ogni nuova segnalazione di pericolo.
Il «punto di situazione» è quindi in costante evoluzione.
Ma certo non si può spostare attenzione, uomini o mezzi, per inseguire questo o quell'allarme, tenendo conto che gli obiettivi protetti sono già diverse centinaia solo nella capitale, quasi 14.000 in tutto il paese.
Le notizie su possibili attacchi contro i vari obiettivi sono raccolte sia in Italia sia all'estero o fornite da paesi amici. Naturalmente all'indomani di un attacco eclatante come quello di Londra o Sharm el Sheikh si registra un picco di indicazioni o di attività d'interesse.
Rientra nella «routine» la segnalazione arrivata da una decina di giorni dagli Usa, relativamente alla documentazione trovata in Irak in mano ad uno degli uomini di Al Zarqawi, nella quale si fa riferimento a bersagli specifici quanto eterogenei: da quelli effettivamente prioritari e pertanto ovvi sia per un «attaccante» sia per i «difensori», come gli aeroporti della capitale o la basilica di Santa Maria Maggiore, fino a bersagli sicuramente di seconda schiera, come gli immancabili McDonald's. Neppure la presenza di immagini satellitari commerciali con evidenziazione degli obiettivi implica una effettiva pianificazione, visto che immagini a discreta risoluzione della capitale e dei suoi punti più celebri si scaricano gratuitamente da Internet o sono inseriti in ottimi Cd che consentono uno studio approfondito e «virtuale» della città senza muoversi da casa. E comunque, fanno notare gli addetti ai lavori, per un kamikaze che colpisca a piedi o con un veicolo una foto satellitare è molto meno utile di uno stradario aggiornato, che evidenzi sensi unici, strade chiuse o vietate, fermate degli autobus e del metrò, postazioni delle forze dell'ordine. Il discorso cambia se si pensa di utilizzare un aereo...
In passato fu proprio il ritrovamento di cartine urbane aggiornate arricchite di annotazioni frutto di ricognizioni dirette a suscitare un forte allarme.
E del resto nel passato anche recente Roma è stata oggetto di minacce molto concrete, che hanno portato alla attivazione di specifiche misure di difesa. In qualche caso i media hanno appreso e riportato quanto stava accadendo, in molti altri la crisi si è sviluppata e risolta senza che nulla trapelasse o fosse raccontato. Ci sono stati falsi allarmi, ma anche possibili minacce reali sventate o poi ridimensionate.
È anche chiaro che nel mortale gioco tra terroristi e forze di sicurezza è impossibile mantenere indefinitamente uno stato di massima allerta. Quella in corso è una maratona di logoramento e l'attività dell'intelligence, quando non riesce a prevenire e eliminare alla radice un potenziale pericolo prima che diventi reale, consiste nel riuscire ad anticipare la possibili crisi, consentendo di portare al massimo livello le difese solo quando serve. Dopo di che si deve necessariamente tornare ad uno standard molto più basso.
Anche le nuove misure contro il terrorismo e la disponibilità di tecnologie più sofisticate e migliori fonti di informazioni, nonché una rafforzata cooperazione internazionale consentono progressi, ma l'implementazione delle nuove capacità può richiedere mesi, in qualche caso anni prima di andare a regime. L'effetto annuncio si risolve in un salutare «effetto placebo» per l'opinione pubblica. Che è certamente importante. Ma i risultati sul campo, a Londra come a Washington o Roma o a Madrid si vedono con notevole ritardo. E in qualche caso purtroppo non si verificano.

Nella consapevolezza che comunque non esiste una difesa antiterrorismo davvero impenetrabile, come insegna il caso di Israele.

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