Cultura e Spettacoli

Nei deserti dell’Algeria all’ombra del Képi blanc

Il dove è tremendo: deserti battuti dal vento, le scabre montagne d’Algeria, crinali sui quali tutto è roccia e polvere, ogni metro in salita, mentre l’aria tremola per il calore, puro dolore. Oppure città arabe dove ogni vicolo nasconde un agguato, ogni porta una trappola esplosiva. Il quando è mirabile: il quinquennio 1960-1964 che segna la fine dell’Algeria francese e un cambiamento epocale per il corpo militare più misterioso, duro e ammirato del pianeta: la Legione Straniera. Sono questi gli ingredienti del diario di Simon Murray appena pubblicato da Mursia (Legionario, cinque anni nella Legione Straniera francese, pagg. 388, euro 22). E se i libri in cui si parla della Legione sono infiniti quanto il suo fascino, quello di questo inglese di buona famiglia il quale, una volta dismesso il kepì, ha avuto un gran successo nel mondo degli affari, ha davvero qualcosa di particolare.
Non si tratta di doti letterarie, dalla Legione sono passati fior di scrittori come Cendrars (Io ho ucciso) o Jünger (di cui ci restano i diari) con cui Murray non può competere. Murray però ha avuto una «fortuna»: ha avuto l’opportunità di vivere un momento di passaggio, di provarne tutto il doloroso peso. Nelle sue pagine vergate con una prosa asciutta come la sabbia e senza orpelli si vede in diretta un gruppo di uomini determinati e coraggiosi precipitare nel gorgo della storia aggrappati all’unico valore che conoscono: l’onore. Nel 1960 i legionari sono la punta di diamante dell’esercito francese che combatte per mantenere il controllo dell’Algeria, e centinaia di migliaia di espatriati credono in loro e nel fatto che de Gaulle, il generale-presidente, manterrà la parola: «Je vous ai compris, Algérie française». L’8 gennaio 1961 cambia tutto, il governo di Parigi tratta per la pace sostenuto da un referendum che evidenzia come sull’altro lato del Mediterraneo ne abbiano abbastanza di veder tornare a casa bare avvolte dal tricolore.
Ecco, esattamente in quel momento migliaia di legionari perdono la loro identità. Sono soldati iper addestrati, una macchina da guerra creata mischiando decine di nazionalità. Ciò che li tiene assieme (e questa fratellanza è un miracolo) è un addestramento di ferocia disumana (chi sgarra corre per chilometri con uno zaino pieno di sassi e gli spallacci di fil di ferro) e un motto: Onore e fedeltà. Ma c’è onore nella resa? E a chi bisogna essere fedeli in una situazione del genere? Si deve credere al buon senso dei politici oppure andare via dall’Algeria significa sputare sui corpi di tutti i legionari che giacciono morti sotto una croce bianca di marmo? Ecco che allora la Legione si spacca, smette di essere la «Legio patria nostra» capace di dar fede (anche con la crocifissione a colpi di baionetta di chi ruba nelle camerate) ad avventurieri e spostati di tutto il mondo.
Gli ufficiali litigano tra di loro. C’è chi tenta il colpo di stato occupando l’aeroporto di Algeri (il reparto di Murray caccerà a colpi di manganello i marines che difendevano le piste), chi resta inerte, chi si schiera con De Gaulle. Poi, quando il golpe fallisce iniziano le diserzioni, la fuga di tutti quegli irriducibili che passeranno all’Oas (Organisation de l’armée secrète) diventando nemici pubblici tanto degli algerini quanto dei francesi (almeno di quei francesi che non vivevano in Algeria). Memorabile la scena rimasta negli annali di storia della diserzione di massa alla caserma di Orano, intere compagnie che uscirono dai cancelli cantando Je ne regrette rien, passando direttamente dall’ammutinamento all’esilio.
Simon Murray però, uno dei pochi inglesi presente nella Legione (il grosso della truppa è stato a lungo composto da tedeschi e italiani), non viene travolto, anche per la sua giovane età, dalla politica o dal risentimento. Soffre quando vede incarcerare i suoi ufficiali. Ma resta. E vede così la nascita di quella che potremmo chiamare la «Seconda Legione», quella che si trasforma da massiccio corpo di occupazione coloniale a ristretto gruppo di truppe attrezzate per operazioni multiruolo e di commando. Inviato al corso sottufficiali (lo aiuta non poco il fatto di essere uno dei pochi ad avere uno straccio di istruzione), riesce a sopportare le durissime prove e ottiene il kepì nero, il cappello dei sottufficiali. Dopo parteciperà all’addestramento delle nuove leve che verranno trasformate in un nuovo tipo di soldato che va molto al di là del «marcia o crepa». Lanci notturni sulla giungla, guida di qualsiasi tipo di mezzo, dalla vespa mimetica (esisteva davvero) al carro armato, conoscenza dettagliata di qualsiasi arma da fuoco esistente in entrambi i «blocchi»...
Un’era di perfezione tecnica ben diversa però dal periodo leggendario che l’ha preceduta. Un’epoca in cui la legione diventa anche molto più umana, sebbene altrettanto selettiva (Murray scopre che esistono persino ufficiali che parlano a voce bassa). Abbastanza perché alla fine le belle speranze di una vita civile facciano presa sul ragazzo di Leicester convincendolo ad abbandonare le sveglie alle cinque meno dieci e le ubriacature selvagge per commemorare la battaglia di Camerone (la festa nazionale della legione). Non sarà comunque la fine delle sue avventure. Tanto per dire, detiene il record mondiale per essere stato nel 2004, a 63 anni, l’uomo più anziano ad aver raggiunto a piedi il Polo Sud senza assistenza (ma questa è un’altra storia). Eppure la Legione, soprattutto quella che fu, con il suo bene e con il suo male, resta indimenticabile.

Ecco perché Frederick Forsyth ha detto del libro di Murray: «Non esiste altra testimonianza simile nella letteratura moderna».

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