Nei sotterranei di Notre-Dame è in gioco il regno di Francia

Il re Filippo il Bello, il papa Bonifacio VIII e un medico che custodisce troppi segreti. Ecco il romanzo di Barbara Frale

di Barbara Frale

Silenzioso come un ladro nel buio, Filippo di Fontainebleau sfiorava le pietre alla base della torre sinistra di Notre-Dame.

Era davvero l'ultimo posto al mondo in cui chi lo conosceva avrebbe pensato di vederlo. Lui, che aveva ricevuto dalla vita il dono dell'ironia, si sentiva il protagonista assoluto del dedalo di cunicoli ipogei che si snodavano sotto la grande chiesa. Era il re dei sotterranei di (...)

(...) Notre-Dame, anche se il suo dominio andava ben oltre il quartiere della cattedrale. Ben oltre Parigi stessa.

Quanto al re di Francia, quella figura così ieratica e lontana dalla gente comune da sembrare sovrumana, lui lo serviva fedelmente. Si era sempre piegato ai voleri e ai doveri del re, re per grazia di Dio, in omaggio a quella sacra autorità che promana direttamente dall'alto. Accettare, obbedire, sopportare sempre, tutto in nome di un ideale superiore. Non importa quanto pesante e doloroso sia il carico di cui bisogna gravarsi le spalle. Come la missione di quella notte, per esempio; fra le più ingrate di tutta la sua vita. Quella notte in cui c'era da mandare un avvertimento ben chiaro, da minacciare e intimidire: cose che non poteva certo compiere l'augustissimo sovrano consacrato con il Crisma dei vescovi, colui che ha ricevuto dal Signore il potere miracoloso di guarire i malati imponendo le mani.

Come del resto non era ammissibile che Sua Maestà scendesse nei sotterranei di Notre-Dame, laggiù dov'erano gelosamente custodite conoscenze che la Santa Madre Chiesa guardava con sospetto. Allora era Filippo di Fontainebleau a calarsi nel ventre oscuro di Parigi per consegnare al sovrano le informazioni che desiderava ottenere. Ciò era indispensabile, oltre che auspicabile: un buon re ha bisogno di sapere tutto. Deve avere cento occhi o forse anche di più, perché il bene del suo popolo richiede che egli possegga segreti di cui i suoi nemici neppure immaginano l'esistenza. E Filippo di Fontainebleau, uomo senza speciali titoli di governo, un semplice cavaliere come tanti altri, provvedeva alla necessità. Ecco, adesso le sue dita vagolanti nel buio riconoscevano quelle linee profondamente incise nella viva roccia. Incise con la punta dello scalpello sotto la guida di una mano potente e sapiente, per eternare una precisa parola. L'aria gelida della notte gli riportò il ricordo di quel giorno lontano. Si rivide lì sotto, due anni prima.

«C'è una parola che segnerà il tuo cammino iniziatico. Per ogni tappa da te compiuta, scriverai una lettera», diceva il Maestro.

«Quale parola?» «Anànche», rispose Arnaldo da Villanova.

«È arabo?»

«È greco, figliolo. Il senso lo scoprirai tu stesso. Un giorno».

Il vecchio aveva voluto quell'opificio clandestino sotto Notre-Dame proprio come i sotterranei del Tempio di Salomone, perché laggiù, diceva, erano custodite tutta la scienza umana e quella divina, oltre alle immense ricchezze di Ofir. Malauguratamente, se n'era andato da Parigi prima d'avergli trasmesso per intero il patrimonio della sua conoscenza. Delle sei lettere che formavano le pietre miliari del suo cammino iniziatico, ne aveva potute incidere due soltanto: AN. E adesso provava un intenso fremito di rabbia e di rimorso, mentre le sue dita, vagando nell'oscurità, riconoscevano il profilo di quei segni.

Accidenti alla malinconia! Doveva ingoiare il rimpianto e sbrigarsi. Aveva una missione cruciale da compiere, quella notte. Trovò quanto cercava, il perno di ferro conficcato nel muro a sostenere una piccola acquasantiera. La leva scattò cigolando, la porta si aprì. Lui piegò la schiena e s'infilò nello stretto passaggio. Il cunicolo era stato progettato per essere percorso anche nel buio completo; bastava contare i passi, mentre le mani esploravano le pareti, strette addosso più di un utero materno il giorno del parto. Bisognava cercare i segni.

Uno, la testa di moro scolpita in rilievo. Il primo elemento. Due, la coda di delfino. Tre, quattro... fino a sette, e poi la porta in fondo. Fontainebleau frugò nella borsa trovando la chiave. La ruggine lasciata da due anni di completo abbandono non aveva rovinato il meccanismo. Ecco, il tavolo era subito a sinistra. Un acciarino, una candela.

Alla tenue luce della fiamma, riconobbe lo scenario ben noto. Pareti bianchissime, per moltiplicare la luce. Ai quattro angoli, simboli sacri e preghiere capaci di propiziare il lavoro. In alto, un piccolo lucernario per l'aria che risaliva attraverso uno stretto canale fino al pavimento della chiesa. Sul lungo tavolo si vedevano ovunque storte, alambicchi, preziosi strumenti di misura. Tutto appariva coperto da un velo di polvere e l'aria era intrisa da uno sgradevole tanfo di muffa. Solo due primavere prima, quel piccolo laboratorio sotterraneo era un santuario di scienza. Ora aveva l'aspetto triste e rivoltante di una tomba profanata.

Imprecò.

Perché Arnaldo se n'era andato? I guai erano incominciati in quel momento. Come la malattia del piccolo principe Robert, che nessun medico sapeva curare. E quella atroce e infamante che ora minacciava lui, insieme all'intero Paese di Francia.

Barbara Frale

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