da Berlino
Ve lo immaginate un Adolf Hitler raffigurato come un povero diavolo senza arte né parte, timido e complessato, catapultato allapice del potere (e grazie allaiuto di un ebreo) da una serie di circostanze fortuite e improvvise che lo obbligano ad imparare in fretta e furia praticamente tutto: come si parla in pubblico, come si sta a tavola, come si fa il baciamano alle signore, come ci si rivolge a generali e gerarchi, completamente a digiuno non solo delle regole minime del galateo ma anche di politica, di economia, di strategia militare e persino di geografia tanto che di nascosto chiede dove sta Stalingrado e quanti uomini ci sono in una divisione?
Insomma un Hitler che diventa Hitler per caso, una controfigura caricaturale, farsesca del demagogo terribile e carismatico che per dodici anni dominò la Germania portandola alla rovina, un essere che visto da vicino appare talmente goffo e sprovveduto da suscitare non solo orrore ma anche ilarità. È lHitler che vedremo presto in un film di Dani Levy, uno dei padri della «commedia alla tedesca, nuovo e fortunatissimo filone del cinema made in Germany che ha già prodotto alcuni film di successo come Good-bye Lenin, in cui i traumi provocati dallimprovvisa caduta del muro di Berlino vengono affrontati in chiave tragicomica, e Alles auf Zucker (Tutto su Zucchero) dello stesso Dani Levy in cui, per la prima volta in un film tedesco, si scherza e si ironizza su tic e debolezze degli ebrei.
Levy è nato a Basilea ma è berlinese di adozione e in più è ebreo ed ha ricevuto uneducazione rigorosamente ebraica. Particolare questo importante perché dalla tradizione ebraica ha ereditato il gusto per laspetto surreale e spesso comico delle vicende umane così ricorrente negli scrittori yddish (basti pensare a Isaac Basevi Singer). Inoltre il fatto di essere ebreo gli permette di accostarsi senza complessi a temi che sono tuttora tabù per i registi tedeschi. Lidea di rappresentare Hitler nei suoi aspetti comici gli frullava in testa da quando vide per la prima volta Il grande dittatore di Charlie Chaplin. «La scena in cui Hitler balla con il mappamondo - dice - è ancora oggi di una comicità irresistibile». Ma il progetto fu sempre accantonato per timore di essere accusato di banalizzare il male incarnato dal nazismo. Dopo tutto Il grande dittatore fu girato negli anni Trenta quando ancora si sapeva poco sulle mostruosità del nazismo e nel 45, quando si seppe delle camere a gas, lo stesso Chaplin disse che se avesse saputo chi era effettivamente Hitler non avrebbe mai scherzato sul personaggio.
Ma negli ultimi tempi Levy ha cambiato idea dopo aver visto La vita è bella di Benigni. «Benigni - dice - è riuscito ad ambientare una storia piena di umorismo addirittura in un campo di sterminio accostando tragedia e comicità. È la stessa operazione che spero di realizzare raccontando laspetto comico e ridicolo di Hitler senza nulla togliere alla malvagità del personaggio.
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