Luca Telese
da Roma
«Esistono tante contraddizioni. Stiamo lavorando per accordare bene gli strumenti». Romano Prodi ieri ostentava ottimismo, ma non nascondeva una nota di disagio, per le polemiche sulle esternazioni ministeriali che hanno alluvionato le pagine dei quotidiani di ogni segno e colore in questi giorni. Ed è veramente meraviglioso quello che ha aggiunto subito dopo, rispondendo a una nota di Civiltà cattolica sullimperfezione umana delle istituzioni, e parlando del ritiro già deciso, che vedrà tutta la squadra del premier raccolta nelleremo di San Martino in campo: «Proprio seguendo lesempio dei gesuiti, noi andiamo, domenica e lunedì, sulle orme di SantIgnazio, in ritiro spirituale. Fra una predica e il silenzio, miglioreremo».
Il silenzio è doro, come recitava il titolo di un bellissimo film di René Clair, e Prodi lo aveva detto chiaramente una settimana fa, quando erano iniziati ad aprirsi i primi screzi fra i responsabili dei suoi dicasteri: «I ministri devono parlare per dare informazioni sullattività del governo, non per dare opinioni». Cosa avesse originato questa disposizione draconiana è noto a tutti: la levata di scudi dellala più moderata della coalizione e del Vaticano per lesternazione di Rosy Bindi sulla famiglia e sulle unioni civili, per esempio. O il piccolo terremoto aperto dalle parole del viceministro Vincenzo Visco sulle tasse. Per non parlare delle immediate polemiche sulle opere pubbliche (con tanto di mini-conflitto di competenze) tra il ministro Alessandro Bianchi e il ministro Antonio Di Pietro. E poi le polemiche sulle sperimentazioni autorizzate da Livia Turco (pillola abortiva) e quelle annunciate da Fabio Mussi (sperimentazione sulle cellule embrionali), brutalmente arrestate, queste ultime addirittura da una telefonata del Premier, che ha fatto addirittura filtrare ai cronisti di essere «arrabbiato di brutto». E si potrebbe continuare con le parole del ministro Cesare Damiano sulla legge Biagi e quelle del ministro del Welfare Paolo Ferrero sulle quote di immigrati da legalizzare.
Cè, in questa sorta di «virus esternatorio» che ha flagellato il governo, e anche nella via «monastica» individuata da Romano Prodi come possibile soluzione del problema, qualcosa che non torna. Il primo appare - a prescindere dal merito dei singoli casi - come un segnale, il tentativo di presidiare il campo delineandone i contorni con la forza del proclama (e comunque dettato dalla necessità di chiarire problemi di competenza aperti dalla frammentazione delle deleghe aperta dalla formazione dei nuovi ministeri). Mentre nel rimedio vagheggiato da Prodi, più monastico che moderno, si intravede qualcosa di altrettanto fragile: lillusione che «la strategia del silenzio» possa aiutare a rimuovere i problemi irrisolti di compatibilità politica. Quando lUnione era allopposizione, la denuncia delle scelte operate dal centrodestra era diventato un atto dovuto e ormai quasi automatico: ma adesso che la maggioranza deve dire cosa vuole fare - per esempio - sulle cellule staminali, ci si illude che il problema sia che Mussi (come suo dovere) ne parli, e non che su questo punto sia impossibile far convivere le opinioni di Francesco Rutelli o di Emma Bonino. Oppure ci si illude che sullIrak possa essere considerato un errore la lettera di Massimo DAlema sul ritiro che ha suscitato un feroce corsivo de il manifesto (tre giorni fa) e non il fatto che qualunque scelta sulla missione irachena o su quella afghana comporteranno un prezzo politico da pagare a sinistra. Ecco, malgrado le professioni di ottimismo, ieri persino le parole di Romano Prodi rivelavano e ammettevano questa contraddizione: «Linizio del governo è stato ottimo, ma cè comunque bisogno di un rodaggio. È stato sempre così. Il fatto è che cè questo bellissimo gioco di trovare ogni contraddizione. E tante contraddizioni esistono, bisogna ammetterlo». Ecco, da domani le tante contraddizioni sono davvero sul tavolo.
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