Milano - «Ogni giorno che passa va in frantumi la credibilità dei miei accusatori»: così, appena due giorni fa, Filippo Penati ostentava ottimismo sulle evoluzioni dell’inchiesta per concussione, corruzione e finanziamento illecito aperta a suo carico dalla Procura di Monza. Ma la posizione dell’ex presidente Pd della Provincia di Milano, nonchè ex capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, in realtà è molto meno confortevole di quanto lui sembri ritenere. Ed è resa ancora più scomoda dal ritrovamento nel computer di uno dei suoi fedelissimi di un appunto dal titolo esplicito: «Documento finanziamento sig. Penati».
La verità è che già da quando era condotta dalla Procura di Milano, che per prima aveva raccolto le confessioni di Giuseppe Pasini (il costruttore che raccontava di avere comprato in contanti il via libera di Penati alla riconversione dell’area Falck), l’inchiesta era considerata assai solida. Nonostante le dichiarazioni contro Penati venissero da un suo avversario politico - Pasini si è candidato per il centro destra alle ultime elezioni amministrative di Sesto San Giovanni - i pm milanesi si erano convinti di avere messo le mani su un filone di malaffare concreto. E con la trasmissione degli atti alla Procura di Monza la convinzione si è rafforzata. «Siamo solo all’inizio», dicono gli inquirenti del caso Penati, che si preparano ad un agosto caldo: a partire dalle nuove dichiarazioni di Piero Di Caterina, titolare dei pullman «Caronte», divenuto la «gola profonda» dell’indagine. E al quale si stanno aggiungendo altri testimoni: tra cui, si dice, Diego Cotti, presidente dell’Associazione imprenditori del Nord Milano.
Penati minimizza i suoi rapporti con Di Caterina. Di Caterina replica snocciolando in una dichiarazione al Tg5 persino l’elenco dei viaggi all’estero fatti in compagnia dell’ex sindaco sestese. Chi dei due ha ragione? Il quadro che sta emergendo sembra confermare la solidità dei rapporti tra Penati e il signor «Caronte» almeno per tutto il settennato (dal 1994 al 2001) trascorso da Penati come sindaco di Sesto. Risalgono all’ultimo periodo del settennato, d’altronde, buona parte dei versamenti indicati da Di Caterina nei «pizzini» consegnati alla Procura. Quando, nel 2004, Penati - sconfiggendo al ballottaggio Ombretta Colli - diventa presidente della Provincia di Milano, il ruolo di Di Caterina si fa più evanescente. Ma Penati continua a dargli una mano. Prima cerca di annullare i risultati della gara con cui la giunta della Colli aveva assegnato gli appalti per il trasporto pubblico, ma si scontra con il Tar che conferma la validità della gara. A quel punto per far rientrare in gioco Di Caterina, Penati lo aiuta da ottenere in subappalto la gestione di alcune linee dalla Atinom, un consorzio partecipato dalla Provincia.
Ma ormai le strade di Penati, avviato verso i piani alti della politica, e del sestese Di Caterina sono avviate a separarsi. Accanto all’ex sindaco della Stalingrado d’Italia si muovono altri volti, dal profilo indubbiamente più alto di quello del titolare della compagnia di torpedoni. Sono i nuovi fedelissimi di Penati, quelli che lo accompagneranno nei cinque anni alla guida della Provincia di Milano. Due nomi su tutti: uno è di un architetto, Renato Sarno, che oggi figura tra gli indagati dell’inchiesta e che è stato perquisito; l’altro si chiama Massimo Di Marco, piazzato da Penati nel consiglio d’amministrazione della Tem, la società che deve costruire la nuova tangenziale di Milano (una vera passione, quella di Penati per i nastri d’asfalto). Sono i nomi del terzetto Penati-Sarno-Di Marco a comparire in modo che lascia poco spazio ai dubbi nei file sequestrati dalla guardia di Finanza proprio nello studio di Sarno. Il dettaglio è importante: la fonte del documento non è il grande accusatore Di Caterina (che viene accusato dall'entourage di Penati di fabbricare prove ad arte) ma un uomo assai vicino al dirigente Pd. Ed è proprio Sarno ad avere creato il file «Finanziamento al sig.
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