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Nel suk "giallo" un reato ogni due minuti

Milano ò Un reato ogni due minuti. Sintesi di Chinatown, quell’intreccio di strade che i milanesi vivono come simbolo dell’illegalità. Luogo del vivere quotidiano dove i cinesi fanno affari e non solo con la vendita all’ingrosso e al dettaglio. Basta sfogliare le cronache locali per imbattersi in banche clandestine, senza autorizzaioni né sportelli legali, in ambulatori clandestini dove si praticano aborti e in seminterrati dove si prostituiscono anche le minorenni.
Ma Chinatown è anche un bar in via Messina, a poche decine di metri dal luogo dell’agguato, dove ogni mattina, sabato e domeniche comprese, c’è sempre chi offre quattordici ore di lavoro in cambio di venti euro e un piatto di riso. Opportunità riservata solo per chi ha gli occhi a mandorla e ha trasformato quelle strade di Milano, a tre fermate da piazza Duomo, in un suk.
Fotografia della realtà, dove gli italiani che resistono si sentono un po’ come stranieri a casa loro. Difficile dargli torto, in pochi anni, i cinesi, tra via Paolo Sarpi e via Bramante hanno messo a segno un’occupazione sistematrica del territorio a colpi di banconote: operazioni immobiliare concluse senza assegni, solo cash, contante e senza nemmeno sedersi per una firma. Un intero (o quasi) quartiere è così passato di mano e, oggi, la comunità cinese è valutata in dodicimila persone, cinquemila e più attività commerciali.
Ma Chinatown è anche un «rilevante polo processuale» come scrivono quelli della Direzione nazionale antimafia. Già, a dominare la comunità cinese sono tre clan - Daxue, Yu Hu e Donpei -, organizzati sulla base della località di provenienza. Tre famiglie spesso dietro l’apertura di quei bazar made in China che, dati della Camera di Commercio, incassano qualcosa come 550 milioni di euro all’anno. Fatturato niente male, che non conteggia i remunerativi traffici di merci contraffatte né quell’intermediazione commerciale illegale che - fonte Sisde - è in evidente crescita-
E proprio l’ultima relazione semestrale inviata dagli 007 al Parlamento parla di «connotazione banditesca e gangsteristica», segnala «aggregazioni giovanili» e «organizzazioni gerarchizzate» dedite «ad estorsioni e rapine in danno di connazionali». Deviazioni criminali in un quartiere ghetto dove per le Istituzioni è quasi impossibile avviare un confronto sereno con la comunità cinese. La prova è la rivolta per una multa, i quindici ghisa finiti al pronto soccorso e un’indagine della Procura con le accuse di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali e danneggiamento.

Scontri che, sorpresa, coinvolge pure un consigliere comunale di An: l’unico italiano, ironizzano i leghisti, che «trasformerebbe Palazzo Marino in Palazzo Pechino».

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