Nella Babele della Rete il nuovo business è il traduttore universale

«È stata una dura giornata di notte, e ho lavorato come un cane». Per il traduttore automatico di Google questa frase incomprensibile è il corrispondente italiano di un famoso verso di una canzone dei Beatles, «Hard days night». Un pasticcio, ma bisogna avere pazienza. In fondo, la traduzione simultanea e automatica è un rebus che lambicca il mondo dai tempi biblici di Babele. Talmente complicato che non è mai stato facile risolverlo nemmeno nella fantasia.
Gli esploratori cosmici di Star Trek avevano apparecchi traduttori per parlare con popoli sconosciuti nella loro celeberrima «rotta verso l’ignoto», ma non potevano fare a meno di Uhura, l’ufficiale alle comunicazioni, in pratica una sensuale interprete in tuta spaziale. La «Guida galattica per autostoppisti», il best seller di Douglas Adams, ricorreva invece a un pesciolino alieno, il Babelfish, da inserire direttamente nell’orecchio.
Stando agli espertoni di Google, però, il nodo lasciato irrisolto dalla fantascienza sta per essere risolto dalla scienza. Gli «strumenti per le lingue» del motore di ricerca (in grado di tradurre intere pagine web da una lingua all’altra con decine di possibilità) come si è visto sono ancora piuttosto approssimativi.
Ma i geni di Mountain View sono abituati a stupirci. E così ora promettono di andare ben oltre. «Crediamo che la traduzione simultanea speech-to-speech sia realizzabile e che potrà funzionare bene entro due anni». Parola di Franz Och, capo della sezione di ricerca di Google che sta lavorando a un progetto ambizioso: un software da installare in un comune telefonino che consentirebbe di dialogare tra loro un giapponese e un inglese, o un italiano e un russo, un indiano e un cinese. E ciascuno nella propria lingua ma tradotti all’istante dal telefonino.
Il fattore dell’accento regionale e della pronuncia individuale resta uno dei più complessi da risolvere. «Quel che serve - ha aggiunto Ochs - è una combinazione di un meccanismo di traduzione affidabile e di un sistema di riconoscimento vocale accurato».
Niente di impossibile. Tanto che i colossi sia di internet che della telefonia si sono già mossi. Ci sono un paio di prototipi che arrivano, manco a dirlo, dal Giappone. Il più futuristico, e bizzarro, è Tele Scouter: un paio di occhiali con un microfono per captare la conversazione, mentre un microchip la traduce e la proietta direttamente sulla lente degli occhiali, trasformandola in un testo da leggere. Unico difetto: assomiglia vagamente agli occhiali di carnevale con naso e baffi incorporati. Decisamente meno imbarazzante, e più pratico, il prototipo di cellulare prodotto dalla Nec che «ascolta» una frase e la traduce. Anche qui ci sono dei limiti. Innanzitutto, al momento esiste solo nella versione giapponese-inglese. E, poi, la traduzione è simultanea, ma non vocale. Dunque la parola tradotta viene semplicemente visualizzata sul display del telefonino, non pronunciata. Per ora il dizionario contiene 50.000 vocaboli.
Al di là degli esperimenti più o meno fortunati, resta il fatto che il business è potenzialmente enorme, sia per la telefonia che per il web. Di recente l’Icann, l’autorità che governa Internet, ha deciso di creare indirizzi scritti in alfabeti diversi dal nostro, dal cirillico agli ideogrammi. L’obiettivo è chiaro: mettere in collegamento il web occidentale con i mercati emergenti. Infinite le applicazioni.

Ma per ora in Rete vince il fai-da-te. Gli inventori di Twitter reclutano volontari per tradurre il sito in altre lingue. E un popolo di appassionati inserisce gratis i sottotitoli nei film che mezzo mondo scarica a scrocco.

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