Nella via Emilia valley c'è il sarto informatico che prepara i server per i cervelloni del Cern

nostro inviato a Scandiano (Re)

A Scandiano, Emilia profonda, si mangia bene e se cerchi delle piastrelle ne trovi di eccellente qualità, ma non ti aspetti di trovare un’azienda che si occupa di informatica e talmente bene da essere l’unica azienda italiana del settore a rifornire il Cern di Ginevra. Eppure l’Emilia riserva di queste sorprese.
Quell’azienda ha un nome curioso: Careca. E quando chiedi a Francesco Morsiani la ragione di questa scelta, lui allarga le braccia e fa il gesto dell’aeroplanino. Tu ridi, ma non capisci e allora lui ti spiega: «È il gesto che fece Careca, mitico attaccante del Brasile, dopo aver segnato un gol durante i mondiali in Messico del 1986. Lo vidi in televisione e pensando che fosse beneaugurante lo diedi alla società che fondai proprio in quei giorni».
E Careca gli ha portato davvero fortuna, anche perché in realtà, di informatica Morsiani non capiva nulla. Classe 1958, si diplomò in ragioneria con il 36 e l’8 in condotta. Uno scavezzacollo, che per una decina di anni lavorò come commesso inseguendo la musica e le belle ragazze, ma dotato di uno spiccato senso commerciale. Scoprì il mondo dei computer lavorando con Pippo Lasagni, un altro originale di Scandiano, primo importatore di Apple in Italia. Da allora non ha smesso di crescere, diventando tra l’altro partner industriale di Hamlet.
Oggi Careca è un gruppo che impiega 46 persone, con un fatturato di oltre 15 milioni, ed è passato indenne attraverso la crisi. Zero ore di cassa integrazione e un indebitamento irrisorio. Un’azienda sana in un settore che, invece, a livello mondiale, ha sofferto non poco. «Tempestività e innovazione, sono le nostre armi vincenti», spiega Morsiani, ricevendomi in un ufficio dove chi viene in giacca e cravatta è guardato come un eccentrico. Pullover e buone idee, sono gli ingredienti di questa piccola e sorprendente realtà «Hi tech». Cita spesso il «tiramisù», ma non il dolce, bensì il supporto da tavolo per computer portatili, che permette di lavorare senza ingobbirsi. Lo hanno copiato in tanti, ma è stato ideato in questi uffici e prodotto interamente in Italia. La Careca fu la prima a intuire il boom delle chiavette per memorizzare i dati e ora è all’avanguardia nelle lampade a tecnologia Led, che consentono un risparmio energetico del 60%. Morsiani e i suoi collaboratori, tra cui Antonio Campagnoli, storico cofondatore, non si limitano a commercializzare le lampade, ma le disegnano, le progettano, le brevettano e, se le cose andranno bene, tra un po’ riusciranno addirittura a produrle in Italia, in decisa controtendenza rispetto al resto mondo.
E il Cern cosa c’entra? C’entra eccome, perché nel 2002, a Morsiani si è affiancato Vincenzo Nuti, amico di sempre, che intuì una lacuna nel mercato professionale dei server, dominato da grandi nomi come Ibm e Hp, capaci di prestazioni straordinarie, ma poco flessibili, non appena sollecitati a proporre soluzioni ad hoc. Nuti pensò di proporsi come sarto. Sì, sarto informatico, di qualità s’intende, operando nella fascia più alta del mercato e dunque la più difficile, perché i server richiesti dai centri di ricerca e di calcolo sono molto più potenti e sofisticati di quelli usati generalmente.
Nuti elenca con passione caratteristiche tecniche, parla di cluster, di Gbytes di Ram e spiega come tutto il ciclo avvenga nei capannoni di Scandiano, sotto le insegne della E4 Computer Engineering, società del gruppo. Nuti e i suoi ingegneri scelgono i server migliori, elaborano le soluzioni per soddisfare le complesse esigenze del cliente, provano le macchine, le consegnano e le installano. Risultato: un tasso di affidabilità prossimo al 100%, che ha consentito alla E4 di ottenere la fiducia dell’Enea, del Politecnico di Losanna, della Ferrari, di Alenia, oltre naturalmente al Cern.


La quota di mercato è in continua crescita e nel 2009 inciderà per il 60% sul bilancio del gruppo Careca, che in Italia non fa sistema, né distretto, ma dimostra come anche nel nostro Paese siano possibili nicchie di eccellenza tecnologica in un campo che, dopo i fallimenti della Olivetti e di altre aziende, veniva considerato perso. E invece qualcosa resiste, dove meno te lo aspetti, qui nella Bassa, tra campi e piastrelle.

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