di Stefano Zurlo
Questa volta il velo di silenzio è caduto. La guerra di potere che normalmente si combatte nelle ovattate stanze della magistratura italiana è arrivata alla superficie. Lingorgo delle inchieste che si incrociano e si sovrappongono fra Roma, Firenze, Napoli, Perugia ha scosso le palline nel bussolotto. Sono in palio almeno tre poltrone di lusso: quella di procuratore nazionale antimafia e quelle di procuratore capo a Roma e Napoli. Per piazzale Clodio si combatte una partita durissima e dunque Giancarlo Capaldo, candidato naturale alla successione di Giovanni Ferrara, esce allo scoperto con una dichiarazione più affilata di un coltello: «Non voglio credere alle voci di corridoio le quali sostengono che quanto sta accadendo ruota intorno alla poltrona del futuro procuratore di Roma».
Capaldo è nel mirino dei pm di Napoli che indagano sul cosiddetto «sistema Milanese». E Napoli, dopo la cacciata di Agostino Cordova, è un feudo di Magistratura democratica e delle cosiddette toghe rosse. Si sa, tutte le indagini di per sé sono ineccepibili e lazione penale è obbligatoria. Ci mancherebbe. Ma la politica giudiziaria aiuta a capire, il mosaico del potere della magistratura e la sua incredibile, quasi surreale, suddivisione in correnti e sottocorrenti che si combattono aspramente e si spartiscono il potere, serve come una lente dingrandimento per comprendere quel che avviene nel backstage dei palazzi di giustizia. E nelle zuffe, di solito «secretate» dai protagonisti, fra toghe nere, rosse e azzurre. Con successivo intasamento, a colpi di ricorsi, dei vari Tar.
Ci sono inchieste che accelerano allimprovviso, altre che dormono sonni profondi, comè stata quella sui Grandi eventi e la cricca finché è rimasta nelle mani della Procura di Roma, altre che convergono sullo stesso obiettivo. E ci sono indagini che corrono fra squilli di tromba, dipingono scenari tenebrosi, ma al dunque si perdono in niente senza partorire nemmeno il classico topolino. Esagerazioni? La lunga inchiesta che il Giornale ha condotto, nel silenzio generale, sui «rovinati da Woodcock» dovrebbe insegnare qualcosa. Il Giornale ha intervistato un catalogo intero di personaggi, volti noti e noti e facce sconosciute, indagati, azzoppati o arrestati dai giudici di Potenza su richiesta del Pm John Henry Woodcock. Dallex sindaco di Campione Roberto Salmoiraghi, al principe Vittorio Emanuele di Savoia a Ernesto Marzano, fratello dellex ministro Antonio e via elencando. Il quadro: vite rovinate, carriere troncate, affetti dispersi come la cenere portata via dal vento. Un disastro che si è ripetuto in anni diversi, lungo piste investigative diverse e con modalità diverse ma sempre con gli stessi, sconcertanti, risultati sul piano giudiziario: lo zero assoluto.
È mai possibile che imprenditori incensurati siano stati intercettati per mesi e mesi, indagati per corruzione e associazione a delinquere, qualche volta blindati in cella, per poi essere puntualmente prosciolti? Attenzione: prosciolti e non assolti, perché il più delle volte altri pubblici ministeri, dopo aver letto i fascicoli ereditati da Woodcock per competenza, hanno semplicemente chiesto larchiviazione e non se la sono sentita nemmeno di chiedere ad un Gip il processo per questo o quellindagato. Unanomalia che è difficile trasformare in una successione precisa di numeri, e unanomalia le cui responsabilità vanno naturalmente suddivise fra lufficio della procura e quello del Gip di Potenza che ha firmato gli arresti, ma unanomalia che alla fine è passata inosservata. Non è stata valutata e non è stata pesata: resta solo nei racconti, di parte ma drammatici, di chi è stato investito da quel ciclone e nella tempesta ha perso molto se non tutto.
Oggi Woodcock si è trasferito a Napoli, epicentro delle grandi inchieste italiane, e da Napoli prosegue sempre, fra standing ovation e consensi acritici, il suo lavoro di scavo, concentrato negli ultimi tempi su quel mistero dei misteri chiamato P4. Vedremo: ma le indagini finite nel nulla a Potenza, come certe malinconiche incompiute del Sud, e le dichiarazioni di Capaldo - che pure sono da accogliere con cautela vista la sua delicata posizione - dovrebbero servire a far decollare una riflessione seria. Senza i veli dellipocrisia. La magistratura non può continuare ad esercitare un potere enorme senza contrappesi. Gli errori devono essere puniti e chi sbaglia deve pagare. Senza che questo provochi riflessi condizionati o venga letto come il solito intervento a piedi uniti della politica.
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