«Nella polizia irachena le talpe dei terroristi che hanno ucciso i nostri»

Le autorità militari italiane fanno aprire un’inchiesta interna e indicano i sospettati di collusione nell’attentato. Nel mirino il responsabile della sicurezza della zona dove passò il blindato

Fausto Biloslavo

Un convoglio umanitario italiano è passato cinque minuti prima dell’attentato di Nassirya sulla stessa strada dove giovedì mattina i terroristi attendevano i blindati dei carabinieri per farli saltare in aria. Fonti irachene nel capoluogo della provincia di Dhi Qar confermano a Il Giornale che i sospettati principali sono le frange più estreme delle milizie sciite, con addentellati nelle forze di polizia del capoluogo della provincia di Dhi Qar. Una o più talpe nelle forze dell’ordine locali hanno aiutato i terroristi secondo la fonte de Il Giornale. Il maggiore Marco Mele, portavoce del contingente italiano in Irak, ad una precisa domanda sulle talpe risponde con chiarezza: «Non escludiamo alcuna ipotesi, compresa quella di un’eventuale complicità interna alle forze di sicurezza irachene».
Da Nassirya gli iracheni segnalano che poco prima dell’arrivo del convoglio colpito era passato, sul luogo dell’attacco, un’altra colonna dell’esercito italiano che doveva compiere una missione umanitaria. Il lasso di tempo era così breve che la carica cava doveva essere già stata piazzata e occultata, ma i terroristi non l’hanno attivata perché aspettavano proprio i blindati blu scuro dei carabinieri che addestrano la polizia irachena. Se così non fosse sarebbe clamoroso perché i terroristi in questo caso avrebbero piazzato l’ordigno in mezzo alla strada fra le 8.40 e le 8.50 del mattino, sotto il naso di civili e agenti di polizia, che a quell’ora sono presenti nella zona.
«Cinque o al massimo dieci minuti prima dell’attentato è passata sulla stessa strada un convoglio di quattro mezzi. Uno del Cimic, la cooperazione civile militare e tre di scorta. Si stavano dirigendo ad Al Islah, 60 chilometri e nord est di Nassirya», conferma il maggiore Mele. Da notare che tutti e quattro i mezzi erano dei Vm non protetti verdi, colore dell’esercito. In tutto si trattava di 26 uomini, in gran parte della Task force Alfa della Brigata Sassari che scortavano personale specialistico del Cimic. «La loro missione era verificare, nel villaggio di Al Islah, lo stato di avanzamento dei lavori inerenti alla ristrutturazione delle linee della corrente elettrica», spiega Mele.
I terroristi, però, li hanno lasciati passare pur sapendo che l’obiettivo era un Vm protetto dei carabinieri, ben più corazzato. Forse volevano dimostrare di essere in grado di schierare dei professionisti delle imboscate esplosive, che fino a qual momento, a Nassirya, avevano provocato solo danni e feriti lievi alle pattuglie italiane.
Una fonte irachena de Il Giornale sostiene anche che prima dell’arrivo dei carabinieri il tratto di strada dove è avvenuto l’attentato fosse stato brevemente bloccato dalla polizia irachena. Al comando italiano non risulta nulla del genere, ma la faccenda potrebbe essere uno dei punti delicati dell’indagine. Solitamente gli agenti bloccano il traffico se vengono segnalate delle trappole esplosive.
La polizia irachena ha comunque aperto un’indagine interna e secondo fonti locali gli stessi italiani avrebbero indicato nomi e informazioni su possibili collusioni con i terroristi.

In particolare sarebbe nel mirino l’ufficiale responsabile della sicurezza nella zona e quindi del maledetto tratto di strada dove sono morti due carabinieri, un ufficiale della Folgore, un caporale romeno ed è rimasto gravemente ferito un altro maresciallo dell’Arma. Dal contingente il maggiore Mele assicura «sulla ferma volontà delle autorità governative locali e dei vertici delle forze di sicurezza irachene di fare completa chiarezza sulla vicenda».

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