"Nella sfida di Venezia ci mancherà Eastwood"

A pochi giorni dall’inizio il direttore racconta la sua Mostra. "Registi innovativi e un film a sorpresa. Mi spiace per Avati"

"Nella sfida di Venezia ci mancherà Eastwood"

Dodici giorni all’inizio della sessantasettesima Mostra del Cinema di Venezia, la settima sotto la sua direzione (ed è un record di durata): Marco Müller sgombra il campo dalle polemiche che la precedono, dal caso Avati al caso Vallanzasca, per lasciare campo libero ai film.

È soddisfatto del cartellone o ha qualche rimpianto?
«Sono soddisfatto, ovvio. Il cartellone è frutto di un lavoro portato avanti con passione e le migliori competenze. Nei nostri sogni c’era anche altro. Se Malick avesse finito in tempo di montare il suo film... Se Clint Eastwood prendesse ancora aerei intercontinentali...».

Guardando al concorso sembra ci siano meno cinematografie minori.
«Direi di no. Torna la Grecia, torna l’America latina con un film cileno, ci sono una pellicola cinese e una hongkongese. Il più grande regista d’animazione dell’Est, il ceco Jan Swankmajer represso dalla censura che dirige un film dopo dieci anni ha scelto il fuori concorso di Venezia per ripresentarsi. I Paesi rappresentati sono 34, l’anno scorso erano 27».

Il concorso sembra una gara tra America e Italia: nove film dei 23 iscritti.
«Gli italiani ormai sono stabilmente quattro. Nessuno si scandalizza se a Cannes o a Berlino Francia e Germania concorrono con quattro film. Dall’America continua ad arrivare una varietà straordinaria di modelli cinematografici, ci sono registi alla seconda o terza opera e pellicole che sono prototipi di nuovi generi».

Parliamo degli italiani: tre autori affermati, un esordiente, presenze prestigiose nelle rassegne parallele e magari pure il film a sorpresa. Visto dal Lido il nostro cinema scoppia di salute.
«Quanto meno ha saputo affrontare con spirito innovativo una situazione di crisi economica. Il film fuori concorso di Salvatores, 1960, che racconta la saga di una famiglia del sud che scopre il nord nell’Italia del boom, è realizzato con la voce narrante di Antonio Cederna e materiale d’archivio. I costi sono ridotti al minimo, ma ci auguriamo che gli esercenti abbiano il coraggio di programmarlo in tutta Italia come merita. E Bellocchio? Il suo Sorelle Mai è un film cechoviano, dieci anni di storia di una piccola comunità di provincia raccontati ad episodi e realizzato con i materiali dei seminari che il regista tiene ogni anno a Bobbio. Bene: Raicinema non sa ancora se 01 lo distribuirà nelle sale».

Come valuta l’assenza del ministro Bondi?
«Il presidente Baratta l’ha invitato. Le persone del ministero che si occupano di cinema verranno a vedere che tipo di produzione si può realizzare quando si riducono i finanziamenti».

Può chiarire come sono andate le cose con Pupi Avati?
«Non come sono state raccontate. Quando Magrelli e io abbiamo visto il film di Avati c’era solo Martone in concorso».

Dunque c’era ancora posto.
«Ma abbiamo un gruppo di esperti cui sottoporre le nostre preferenze. E ci siamo imbattuti in cinque voti contrari, mentre le altre opere hanno avuto un consenso unanime».

Il giorno della visione Avati aveva inteso che si parlasse del concorso.
«Né io né Magrelli abbiamo promesso il concorso, ma abbiamo parlato della proiezione alla commissione. E Pupi ha visto la commozione mia e di Enrico».

La decisione la prende la commissione?
«La decisione la prendo sempre io, ma di fronte a un parere negativo ho proposto un gala fuori concorso. Con il suo temperamento sanguigno Pupi l’ha presa male, lo capisco e mi spiace moltissimo. Ma era già stato tre volte fuori concorso, dove sono presenti cineasti di livello mondiale, e avrebbe potuto accettare di tornarci una quarta».

Concorda con Michele Placido che si è opposto alla presenza di Vallanzasca al Lido per la proiezione del film sulla sua vita?
«Noi accogliamo le delegazioni dei film. L’anno scorso l’abbiamo fatto con Hugo Chavez, protagonista del lungometraggio di Oliver Stone. Quella di Placido è una lettura molto critica della vicenda di Vallanzasca. Se ci avesse detto che nella sua delegazione ci sarebbe stato anche Vallanzasca ci saremmo attrezzati. Ma mi pare che Placido si sia espresso in modo inequivocabile».

La convivenza con la Festa di Roma migliora o rimane una complicazione?
«Sia noi sia Roma andiamo avanti ognuno per la propria strada. A noi non è mai successo di inciampare in film già promessi a Roma e dunque non disponibili per Venezia. Credo convenga che la Festa di Roma scelga una data più divaricata possibile da quella di Venezia».

Tarantino presidente di giuria, John Woo Leone d’oro alla carriera, la comicità protagonista della retrospettiva, l’omaggio a Gassman: la qualità dei film sarà all’altezza degli eventi di contorno?
«Credo di sì. Non abbiamo mai eretto steccati tra cinema d’autore e cinema popolare. Tarantino ama il cinema in tutti i suoi stadi e mi ha posto come condizione la possibilità di fare più riunioni per poter discutere di tutte le opere. Crediamo non sarà scontento dei film che dovrà giudicare».

Aldo Grasso ha criticato lo sdoganamento della comicità.


«Se Grasso avesse letto il programma si sarebbe accorto che la nostra operazione riguarda anche i comici del cinema muto, quelli degli anni Venti e Trenta, quando la risata era solo di regime. E forse avrebbe evitato di parlare dei cinepanettoni».

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