nostro inviato a LAquila
Le crepe sono fulmini sul muro che corrono senza direzione. Da questa parte la parete è una voragine. Il letto, le lenzuola rivoltate, un movimento veloce nei cuscini come di un capo sollevato all'improvviso. La coperta piegata con una curva brusca. Sparsi sulle coperte, i vestiti. Sopra i comodini, due piccole statue, diritte: una di San Giuseppe, l'altra della Madonna. Sono piccole come personaggi di presepe, il piedistallo è largo una noce. Eppure si reggono da sole. Sono in piedi, e il resto è abbattuto. C'è un equilibrio di queste statuine che sembra spaccare ogni legge della terra. La camera da letto è tutta sospesa su un filo che è un soffio. Un istante di lenzuola stropicciate, di sonno violato. Il tempo fermo: le tre e trentadue di lunedì 6 aprile, quando la terra ha ruggito e tremato.
Cè una foschia leggera sopra le cose, ma non le copre. È una polvere sottile, ferma nell'aria come questa casa. La casa sospesa, con i suoi oggetti che raccolgono un secondo che batte come una vita.
Due vite. Qui abitava una coppia di anziani. Sono sopravvissuti. Come tutti gli abitanti di questo palazzo delle case sospese, via Roma numero 207, accanto a via della Croce Rossa, su una salitella che porta al centro storico dell'Aquila. Un vigile del fuoco prova a recuperare documenti e vestiti dal secondo piano. Le scale sono frantumi, ma lui sa come salirle. Ha già salvato se stesso e suo padre. Il papà era rimasto incastrato tra il letto e l'armadio e cercava una pila. «Cercava una pila!», sorride adesso il pompiere. Accanto a loro, ma al primo piano, un padre è riuscito a trasportare giù il figlio che non camminava. Gli hanno aperto un varco di luce nelle macerie i vicini, proprio con quella pila dell'ultimo secondo.
La donna che abitava al piano terreno è riuscita a raggiungere il cancello scavalcando la parete della camera dove dormiva la madre, morta tre giorni prima del terremoto. Nella sua casa sospesa c'è un cassetto appena aperto, forse per le ultime cose della notte. Uno stendino all'indietro, un copriletto colorato schizzato di macerie, due mattoni su un comò, una cornice, in piedi, e un soprammobile che sembra una pagoda.
C'è un ordine nel disordine in questo attimo sospeso. La biancherie nel cassetto è ben piegata, il centrino sul tavolo della sala da pranzo non ha grinze ma pende a destra, come se un bambino l'avesse tirato un po in giù. Anche qui il fratello viene a recuperare qualcosa, come il vigile del fuoco del secondo piano: «In questa casa c'è il cuore». Lì fuori prende il sole un gatto, apre gli occhi, agita la coda, è l'unico movimento qui. Sembra un funambolo che si agita su una fune tesa sull'immobilità.
C'è una mano che tira su strani oggetti in questo palazzo in equilibrio sul terremoto. Nella casa accanto, due pareti si sono piegate, ma sulla tovaglia di plastica a quadri e fiori sta in piedi un uovo di Pasqua chiuso in una scatola rossa. Rossa come se solo un respiro di polvere fosse passato di lì. E non è caduto lo scolapasta. È accanto all'uovo, posato prima di andare a dormire, prima di affrontare la notte.
Nella casa delle statuine, invece, i due vecchi hanno poggiato il capo vicino a San Giuseppe e alla Madonna. Sul comodino sinistro ci sono dei fazzoletti, sembra che qualcuno si sia soffiato il naso prima di stendersi. L'intimità della notte, il batticuore della paura, il tremore delle terra e di tutto il corpo teso per fuggire sono fermi in quel letto. Si ha la sensazione di violare un santuario solo a guardare questa casa. Non è un oggetto, ma è la disposizione degli oggetti fermi a raccontare il momento del confine tra la vita e la morte.
Sulla parete destra, l'unica senza crepe, c'è anche una Vergine in dipinto, uno di quei volti di Madonna bambina. È appesa al muro, diritta come le statuine. Guarda in basso, con un sorriso, la camera dove crolla tutto eppure tutto è sospeso.
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