Per «neoliberismo» vedere alla voce «Male assoluto»

Quello che mette sotto accusa i teorici del libero mercato e i leader politici che alle loro idee si sono ispirati è ormai un genere consolidato nella cultura di sinistra: basti pensare al recente spettacolo di Marco Paolini, ma anche ai film di Ken Loach o a Grazie, signora Thatcher! di Mark Herman. È sulla scia di questi lavori che si colloca lo spettacolo Chicago Boys di Renato Sarti, fino al 20 dicembre a Milano al Teatro della Cooperativa, interpretato dall’autore.
In tale filone quella che prevale è una «strategia del lirismo», che in fin dei conti non è altro che retorica in senso deteriore. Gli esponenti della scuola di Francoforte avrebbero parlato - in senso tecnico - di un’impostazione fascista, poiché ostacola ogni comprensione razionale e mira a costruire un’adesione sentimentale e impulsiva. Impedendo di vedere, ad esempio, che la battaglia degli anni Ottanta contro gli sprechi delle miniere britanniche non soltanto ha permesso meno tasse, e quindi salari più alti per gli operai inglesi, ma in fin dei conti ha anche cancellato lavori durissimi che sopravvivevano solo grazie a sussidi statali.
Il testo sui Chicago Boys non sfugge al cliché e a più riprese perfino esagera. L’intenzione è denunciare la presunta malvagità strutturale del capitalismo, individuando negli economisti dell’università di Chicago i grandi burattinai. La cosa può solo far sorridere, ma la scena si apre con Renato Sarti dentro una piccola vasca - il tema dell’acqua si rivelerà importante - e si sviluppa come l’illustrazione di ciò che sarebbe il capitalismo criminale che domina il mondo e, in particolare, della sua cupola intellettuale. Le ragioni dello spettacolo prevalgono su quelle dell’analisi. Ne risulta un’omelia no-global che infila una serie di tesi strampalate. Si indica ad esempio in Friedrich von Hayek un caposcuola di Chicago (l’altro essendo Milton Friedman), mentre egli appartiene a un differente - e spesso contrastante - orientamento di pensiero: la scuola «austriaca». Ma i veri sfondoni sono altrove.
Il peggio sta infatti nella demonizzazione di chi la pensa diversamente: nella costruzione di un fantoccio polemico che non ha più nulla di umano. Negli anni Trenta il confronto ideologico prese una simile strada, quando ebrei e capitalisti erano rappresentati quali esseri malvagi e perfino fisicamente repellenti.
Il gangster di Chicago nella vasca è un soggetto inumano: per contestarne le idee, gli si sottrae ogni moralità. Ha già ucciso una ragazza, in scena sodomizza la gemella (Elena Novoselova) e, alla fine, ucciderà anche lei. Nel racconto si scopre che aveva «acquistato» le sorelle quando, ancora minorenni, si prostituivano in una Mosca in ginocchio a causa del crollo del comunismo. Il testo compie però un’operazione squallida, perché è come se per contestare le tesi di Marx sul plusvalore o sull’alienazione si facesse riferimento a episodi imbarazzanti della sua vita privata. E in quel caso, almeno, si tratterebbe di fatti reali, e non di fantasia.
Sarti occupa la scena in maniera gigionesca e la graziosa e scosciatissima Nosovelova fa la sua parte: traendo beneficio dalla sua cadenza russa. Ma durante l’intera serata le privatizzazioni sono ricondotte allo slogan «libera volpe in libero pollaio»: che è un po’ come dire che il mercato imporrebbe la legge del più forte. In realtà è vero il contrario, poiché solo grazie a uno Stato pianificatore e programmatore i più rapaci sono in condizione di accumulare potere: anche quando non soddisfano nessuno.
Non è nemmeno chiaro perché in uno spettacolo intitolato Chicago Boys, in cui si sostiene che metà della storia novecentesca sarebbe stato governato da Friedman, si mettano continuamente sotto accusa la Cia, le torture di Abu Ghraib e la politica estera Usa. Si arriva perfino a ricordare le critiche rivolte a Friedman da talune vittime del fascismo latinoamericano: lasciando intendere che l’argentino Rodolfo Jorge Walsh sarebbe stato ucciso per le sue critiche al padre del monetarismo. Un delirio.
Se c’è un tratto costante del liberalismo di mercato è la sua opzione per la pace: e quanto più uno studioso è favorevole al capitalismo, tanto più è critico verso la politica estera americana. Non è un caso se il think-tank maggiormente vicino agli economisti di Chicago, il Cato Institute, ha sempre avuto un atteggiamento polemico con le scelte di George W. Bush sull’Irak.
Infine, l’acqua.

Ma cosa c’entra con tutto il resto? Perché il bravo Sarti se ne sta ad ammollo per più di un’ora rischiando il raffreddore? L’intenzione è denunciare la volontà di privatizzare tutto, e in questo senso la polemica è anche spicciola, contrastando il provvedimento che introduce in Italia una parziale liberalizzazione dei servizi pubblici. Seguendo la logica dello spettacolo, sono Chicago-Boys pure i ministri Fitto e Calderoli: il che, onestamente, va rubricato come umorismo involontario.

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