Nessun commento dal Colle ma il silenzio non maschera la forte irritazione di Ciampi

Alleanza nazionale: «Dichiarazioni di un’infinita pochezza culturale»

Massimiliano Scafi

da Roma

Minacce? Lusinghe? Pressioni? Ma che dice Prodi, che fa, che vuole, che sottintende? Choc al Quirinale, dove l’imbarazzo per le dichiarazioni del Professore sulla riforma elettorale è impacchettato dentro un gelido e diplomatico involucro di silenzio. Ma non per questo «l’irritazione» di Carlo Azeglio Ciampi è meno sentita. Minacce, lusinghe: proprio l’altro giorno a Lodi il capo dello Stato ha invitato tutti a non tirarlo per la giacca, ricordando ai due poli che completerà il mandato nella pienezza dei suoi poteri, «impegnandomi fino all’ultimo giorno». Inutile quindi sperare di condizionarlo, ventilando un secondo mandato. Il messaggio era chiarissimo, invece ecco Romano Prodi che lo chiama in ballo, e pure a sproposito, visto che la decisione a quanto pare è già stata presa: nessun rinvio alle Camere, Ciampi non potrà che controfirmare la nuova legge proporzionale.
Prodi forse ha già fiutato l’aria, da qui le sue parole sull’incostituzionalità e l’antipatriottismo della riforma. Dal Colle nessun commento ufficiale: il presidente, spiegano, «è impegnato nella sua consueta attività». E l’agenda è molto fitta. Ciampi accoglie il principe Alberto di Monaco in visita di Stato, riceve il presidente della Vigilanza Rai Paolo Gentiloni, che sale a Canossa pochi giorni dopo le critiche presidenziali ai reality show e ai programmi spazzatura, rende pubblica la notifica del conflitto di attribuzioni con il Guardasigilli Roberto Castelli sul potere di grazia, preparandosi così al decisivo braccio di ferro con il ministro della Giustizia sulle prerogative del capo dello Stato. Impegni non da poco, ben più dell’ordinaria amministrazione, tanto per dimostrare che negli ultimi sei mesi del mandato il presidente avrà molto da fare e che, come ha spiegato la settimana scorsa, si impegnerà «al massimo per fare fede all’impegno preso fin dal giorno del giuramento».
Tra questi «impegni» c’è ovviamento quello di controllare la costituzionalità delle leggi emanate dal Parlamento. La riforma elettorale sta effettivamente sollevando diversi dubbi negli uffici legislativi del Quirinale, soprattutto riguardo alle quote rosa e al premio di maggioranza territoriale previsto per il Senato. Dubbi che però, anche messi tutti insieme, non formerebbero quella «palese incostituzionalità» che costringerebbe Ciampi a rispedire al mittente il provvedimento. C’è pure un aspetto politico. La maggioranza è fortemente decisa a portare a casa il risultato e pur di arrivare al proporzionale è disposta a incassare una bocciatura del Colle. Inutile correggere il testo prima, tanto, prima del voto, c’è comunque tutto il tempo per una seconda lettura.
Così, l’uscita del Professore sembra una sorta di recriminazione anticipata. E anche se poi cerca di ridurre l’impatto polemico, precisando di non voler «tirare in ballo il presidente di cui rispettiamo il ruolo» e di aver solo «espresso la nostra contrarietà alla legge», è logico che Ciampi non gradisca le allusioni.

Come non ha gradito quando nel febbraio scorso Silvio Berlusconi lo invitò pubblicamente a non ascoltare «le sirene della sinistra». Quella volta il Quirinale replicò con un secca nota di precisazione: «Mai subite pressioni sulle leggi». Ora invece niente comunicati, perché la campagna elettorale è già cominciata.

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