Nessun rimpianto Se non ci sono talenti non è colpa di Cesare

di Tony Damascelli
Si intravedono gruppi di afflitti e vedovi di Jesse James, al secolo Marcello Lippi. Come a Milano incominciano a mettersi in coda i senzaMourihno con i fazzoletti umidi di lacrime, ecco che gli orfani del bell’uomo di Viareggio si organizzano per mugugnare contro Prandelli (e alla voce nerazzurra contro il “salumiere sudaticcio” Benitez). È un Paese dei rimpianti, delle nostalgie, dello si stava meglio quando si stava peggio.
La colpa di Prandelli (come quella del suo sodale spagnolo di Milano) è quella d’essere educato e normale. Non manda a dar via gli organi né il pubblico che rumoreggia né i cronisti che osino porre domande pruriginose. Sa, Prandelli, che questo passa il campionato e con questo deve fare, tentando qualche ideuzza, le convocazioni di Cassano e Balotelli, messi all’indice dal pistolero ex campione del mondo, ne sono stata la conferma. Ma chi può davvero rimpiangere l’arroganza e la malacreanza di chi ha preceduto Prandelli? Chi può giustificare ancora oggi le scelte di Cannavaro e di Grosso, tanto per citare due casi evidenti (il secondo, con un ultimo scatto di pudore, cancellato dalla lista mondiale)? Il calcio no vive di rendita, lo sanno tutti, lo sa Totti, lo sa Del Piero, lo sa Ronaldinho e lo sa anche Gattuso ma fanno fatica a saperlo gli allenatori, convinti di essere più importanti, loro, dei calciatori, sicuri di essere depositari del kamasutra tattico, spesso trascurando la posizione principale, saper giocare a pallone. Cesare Prandelli ha molti avvocati in queste prime ore di dibattimento, è normale, era capitato a tutti i suoi predecessori, nelle prime esibizioni veniva perdonata qualche distrazione, qualche scelta sbagliata, in attesa di prove più corpose.
La nazionale vista a Belfast è roba da venerdì sera, giorno di magra, dieta sperando in un fine settimana gaudioso. Il problema riguarda la qualità, non gli schemi, non l’approccio psicologico(!?!?), riguarda il cambio di identità del nostro calcio. Abbiamo atleti, muscolari, non abbiamo più talenti, Prandelli lo sa, da calciatore il suo punto di riferimento erano Platini e Boniek non certo la densità, il quattroquattrodue e la diagonale. Prandelli allenatore ha saputo anche che senza Jovetic e Mutu la sua Fiorentina non era la stessa squadra anche se passionale e sfortunata. L’operazione simpatia nei confronti dell’allenatore azzurro è comprensibile anche se ha una data di scadenza, come un prodotto alimentare. Le sue scelte non sono sempre giustificabili (che altro dovrebbe fare Balzaretti per meritare un po’ di considerazione?); la filosofia del «bel gruppo» va bene quando si deve parlare d’altro ma il calcio di certi livelli ha bisogno a volte anche di figli di buona mamma che, quando la scolaresca è soltanto volenterosa, sappiano risolvere situazioni delicate. Dove sono costoro? Risposta difficile, il calciobalilla (così vengono schierati i giocatori, in linea orizzontale) ha imbastardito la genialità, la teoria del football globale e universale serve a giustificare gli ingaggi e la scienza degli allenatori (non risulta che i bambini facciano collezione di figurine di allenatori).

Cesare Prandelli dovrebbe occupare il suo tempo a dialogare quotidianamente con i suoi colleghi e i calciatori, tentando una specie di bonifica di un mondo che pensa alla lavagna ma non conosce la grammatica.
Se sbaglierà sarà criticato come gli altri ma, per favore, nessuna lacrima, nessun girotondo per chi ha già dato e se ne è andato, senza nemmeno spiegarne i motivi.

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