«Nessuno dei miei pentiti parlò di Dell’Utri»

Senatore Luigi Li Gotti. Prima di diventare un parlamentare con l’Idv è stato l’avvocato dei più grossi pentiti di mafia. Che cosa ne pensa dell’intercettazione dell’avvocato Gregorio Donnarumma, rivelata dal «Giornale», nella quale il legale, racconta alla signora Mirigliani (l’organizzatrice di Miss Italia) del piano ordito per incastrare Dell’Utri mettendo d’accordo i pentiti, piano che prevedeva per lui soldi e un seggio al parlamento?
«Mah... io lo conosco bene il collega, più volte mi sono avvalso di lui come sostituto in determinati processi, a quel tempo ne avevo dieci-dodici di sostituti. Un bravo avvocato».
E dell’intercettazione, onorevole, che idea si è fatto?
«Bah... magari a volte al telefono si dicono cose così...».
Sta dicendo che Donnarumma potrebbe aver millantato per darsi un tono?
«Guardi, il tutto mi pare un pochettino... boh, Donnarumma credo che non avesse quel ruolo che lui si da al telefono, e che traspare dall’intercettazione trascritta... mi sembra che volesse fare un po’ il protagonista. È vero che le intercettazioni sono la prova più genuina ma bisogna anche vedere chi è l’interlocutore...».
A lei, ovviamente, avvocato dei pentiti per antonomasia, non è mai capitato di sapere che qualcuno dei suoi assistiti si mettesse d’accordo con altri collaboratori di giustizia per concordare dichiarazioni.
«Figuriamoci. E lui, Donnarumma, quel fatto specifico, non l’ha riferito mai. Eppure ci siamo visti spesso, me l’avrebbe detto».
E non le ha raccontato nemmeno dell’attentato che subì in autostrada quando un killer provò a ucciderlo? Nella telefonata lui parla di minacce, della paura di fare una brutta fine...
«L’attentato è una cosa seria, invece. Me lo disse, certo, e quando un giorno lo vidi arrivare con la scorta rimasi sorpreso e capii che la cosa era seria e che le attenzioni che qualcuno gli aveva riservato corrispondevano a un reale pericolo. Anche perché, se vado a memoria, effettivamente qualcuno gli aveva sparato addosso alla macchina».
Torniamo agli incontri fra pentiti. Lei non ne ha mai saputo niente ma una decina d’anni fa il Servizio centrale di protezione, nella persona del dirigente Cirillo, di fronte alla commissione senatoriale, confermò che al suo ufficio erano arrivate segnalazioni di oltre 680 incontri fra pentiti. Il pentito Spatola ne ha fatto pure cenno...
«La notizia mi è nuova. E comunque i “miei” pentiti erano per lo più detenuti quindi non si potevano incontrare...».
Dei “suoi” pentiti, che sono tanti e sono fra i nomi più noti di Cosa nostra, quanti parlarono di Dell’Utri?
«Nessuno. Nemmeno uno sapeva di Marcello Dell’Utri e Cosa Nostra. Brusca (uno dei capi della commissione, ndr), per dire, apprese solo dal settimanale L’espresso la storia di Mangano e in seguito a quell’articolo si attivò per avere un contatto. Nessun altro. Quelli che seguivo, evidentemente, non erano in grado di riferire. Poi, ecco, sì, ci fu il pentito Di Carlo che all’inizio accennò a un matrimonio a Londra con dei mafiosi».
Torniamo all’avvocato Donnarumma. In quali processi di mafia lei si è avvalso della sua collaborazione?
«Che io ricordi, in quei processi che si celebravano solitamente a Catania. Su Palermo avevo altri colleghi che mi davano una mano. No, non credo si occupasse di mafia palermitana».
Però difendeva anche camorristi del clan Nuvoletta, l’unica famiglia napoletana vicina a Cosa Nostra e ai palermitani...
«Può essere, era napoletano lui. Ma, ripeto, non ricordo cose di mafia con Gregorio».
Donnarumma difese Giovanni Brusca, però...


«Brusca? Ma no, lo difendevo io. Forse mi avrà sostituito in qualche udienza».
Perché, secondo lei, al telefono Donnarumma fa riferimenti gravi al processo Andreotti?
«Ecco. Questo proprio non riesco a capirlo. Bisognerebbe chiederlo a lui».

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