Niente carcere per Latorre e Girone L’India ammette il nostro ricorso

Due punti a favore dei nostri militari prigionieri in India gettano un po’ di luce sulla battaglia giudiziaria e diplomatica per ricondurli a casa. Il primo è l’ammissione da parte dell’Alta Corte dello Stato di Kerala del ricorso, presentato dalla difesa dei due marò del «San Marco», in cui si contesta la giurisdizione indiana sul caso, essendo il fatto avvenuto in acque internazionali come le immagini satellitari hanno confermato. Il secondo è la decisione da parte indiana di permettere a esperti italiani di essere presenti alle prove balistiche che verranno effettuate sulle armi usate da Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Oltre a questo, ieri il giudice del distretto di Kollam - che ha competenza territoriale sul caso dei due pescatori uccisi in alto mare lo scorso 15 febbraio - ha stabilito che i due militari italiani dovranno rimanere per altri sette giorni sotto la custodia della polizia. Questo prolungamento del fermo evita loro di finire in carcere, almeno per il momento, in attesa di nuovi sviluppi.
Continua intanto la missione in India del sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura. Ieri ha potuto incontrare a Kochi i due prigionieri, ai quali ha assicurato il massimo impegno del governo italiano per risolvere positivamente la loro situazione. De Mistura si è detto soddisfatto dei risultati fin qui ottenuti, e in particolare dei passi compiuti dall’India. A suo avviso, «dopo l’ispezione della nave si dimostrerà che è giusta la nostra versione» dei fatti, che scagiona Latorre e Girone dall’accusa di omicidio.
Annullata invece, almeno temporaneamente, l’annunciata visita di De Mistura ai familiari dei due pescatori uccisi: il governo del Kerala ha fatto sapere che per il momento «la situazione non è propizia». L’ipotesi di questa visita solleva peraltro qualche perplessità, perché se da una parte esprime il cordoglio e la vicinanza del governo e del popolo italiani per la morte ingiusta dei due sfortunati indiani, dall’altra potrebbe dare l’impressione che l’Italia accetti in qualche modo il ruolo di colpevole, mentre l’obiettivo della nostra azione giuridica e diplomatica è di dimostrare l’opposto.
Sul fronte politico interno, c’è da registrare l’intervento del presidente del Consiglio. «Desidero assicurare alle famiglie e alla collettività - ha detto Mario Monti - che il governo è impegnato in ogni momento per consentire ai due fucilieri di Marina di sentire la vicinanza e fruire della solidarietà concreta della Repubblica italiana». E ancora una volta il ministro degli Esteri Giulio Terzi, che è atteso in India in visita ufficiale lunedì prossimo, ha ripetuto che la priorità sua e del governo italiano è di «risolvere con rapidità questo caso». Si cerca, chiaramente, di conseguire questo risultato senza mettere a repentaglio l’amicizia tra l’Italia e l’India con tutte le ricadute anche economiche del caso.
Terzi insiste sulla necessità di mantenere riservatezza per «non entrare in dettagli che possono generare da un lato aspettative positive o negative e dall’altro strumentalizzazioni di qualsiasi genere dal punto di vista politico» in India.

Al tempo stesso, il ministro - che ieri ha partecipato a Londra alla Conferenza internazionale sulla Somalia - osserva che le norme internazionali sul contrasto alla pirateria hanno ormai bisogno di essere meglio chiarite: esistono troppe zone grigie sui principi di responsabilità dei singoli Paesi, sulle modalità di giudizio dei pirati e, ha precisato, «sulla sovranità dei singoli Paesi, e voi capite a cosa mi riferisco». Se non si arriverà a meglio definire questi punti, ha detto Terzi, si rischia di trovarsi «di fronte a un numero crescente di incidenti e di difficoltà».

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