Niente musica. E in chiesa parla Marco

Quell’«oggi insieme a voi posso finalmente dirgli grazie» è stato forse il momento più intenso. Marco Alemanno (foto), il collaboratore, il produttore, la presenza fissa nella vita di Lucio Dalla, primo nell’hotel di Montreux a correre incontro nell’aiuto impossibile. Dopo un funerale asciuttissimo, lineare anche nell’omelia di padre Boschi, ci hanno pensato il viso straziato di questo ragazzo di Lecce e la sua voce alla fine rotta dal dolore, a dare la sferzata simbolica. Il colpo. Il la. Giusto all’ultimo Festival di Sanremo, Lucio Dalla aveva detto che «quasi quasi inizio a imparare come scrivere la musica sullo spartito: così mi diverto di più». Ecco, se avesse potuto, la sinfonia del suo ultimo addio avrebbe avuto proprio la sua climax nella lettura del testo de Le rondini (quando, a dieci anni, Alemanno ascoltò questa canzone dell’album Cambio provò una «emozione totale e disarmante») e infine in quel lancinante «gli posso finalmente dire grazie» che ha unito il compagno di una vita al pubblico che riempiva le navate, a quei trentamila fuori in piazza e ai milioni che seguivano la cerimonia in tv. «Vorrei girare il cielo come le rondini/ E ogni tanto fermarmi qua e là/ Aver il nido sotto i tetti al fresco dei portici/ E come loro quando è la sera chiudere gli occhi con semplicità». Grazie Lucio. Un grazie simbolico in una cerimonia orfana, quasi muta, priva di ciò che aveva illuminato la vita di quest’uomo «dal corpo bizzarro» che accettava l’ultimo saluto al centro della navata. Neanche una nota. Niente musica. Ordine della Cei. Ordine, per dirla tutta, certamente fedele al codice della liturgia ma del tutto ingrato all’uomo che si celebrava. Oltretutto c’è, in molti versi delle canzoni di Dalla, da Se io fossi un angelo a Come il vento a INRI, e anche nelle sue parole, lunghe decenni e quindi non estemporanee, una dimostrazione di fede che ben pochi altri artisti italiani sono stati capaci di sublimare così genuinamente. Perciò il «finalmente posso dirgli grazie» ha avuto il suono musicale della consacrazione nobile e alta di un rapporto profondo che fino a ieri il non detto aveva reso comunque più eloquente delle dichiarazioni.

E proprio nello stesso luogo che era stato chiuso d’imperio alla musica e sotto la stessa cupola che salutò per ultimo Don Giuseppe Dossetti, uno dei padri della nostra costituzione. Un sinfonia perfetta, pur nei suoi paradossi.

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